«Viva la droga»: alle case Gescal il degrado non ha più un limite

Scritte a spray nei corridoi, bambini di notte sui tetti, solai e cantine usati come discarica e latrina

Bambini e ragazzi che corrono sui tetti, a tutte le ore. Piccoli anche di otto e nove anni, che si arrampicano dalla botola del quarto piano e lasciano tracce del loro passaggio anche sui muri. Su uno di questi si legge - bomboletta spray nera su fondo grigio - “W la droga”. E poi le cantine, per buona parte impraticabili. Le porte sono quasi tutte aperte e dal corridoio spesso al buio - le plafoniere o sono sparite, o sono scollegate dalla rete e anche il timer è stato fatto saltare, tanto che per arrivare ad avere un po’ di luce bisogna arrivare fino alla stanza contatori e attivare manualmente - si vede di tutto all’interno delle tante porte sempre aperte. Un giaciglio improvvisato che è lì da mesi in una; mobili accatastati di ogni genere, rottami. Spesso anche i resti biologici di chi usa quella parte di condominio come toilette.

L’affresco è quello che arriva dal complesso Gescal di via Polli e Daccò. Siamo a Sant’Angelo Lodigiano, in una zona residenziale alle spalle del centro storico. Il giardino condominiale si affaccia sulla circonvallazione interna della città, nel tratto di viale Trento e Trieste. Dalle finestre dei palazzoni grigi che si affacciano sull’arteria si vedono il centro commerciale Il Castello, poco oltre il cimitero e la provinciale per la Ranera; dall’altro il parco spesso vittima del degrado di via Polli e Daccò, dove svetta anche il cippo ai partigiani santangiolini Battista Polli e Antonio Daccò. Fino a qualche tempo fa, da queste parti, le proteste erano incentrate sui vandalismi, l’incuria, le manutenzioni altalenanti. I citofoni spaccati, le cassette della posta fatte a pezzi a più riprese, i rifiuti abbandonati.

Oggi, tramite la testimonianza di una fonte qualificata, «Il Cittadino» ha accesso a uno spaccato di quotidianità e degrado sociale diverso, frutto non solo di vandalismi, ritrovi o schiamazzi, ma anche di consumo di droga a cielo aperto - anche negli androni dei palazzi o negli ascensori -, di via vai continui, di giovani in auto o a piedi, soprattutto nel fine settimana, di bambini, oltre che di ragazzi, che raggiungono i tetti. Lo fanno usando le botole che si affacciano sul pianerottolo dell’ultimo piano. Il tetto è circondato da una balaustra in muratura, che non preclude però ogni rischio.

L’ultimo episodio risale a un paio di giorni fa: una “gita” di un’ora in tutto, intorno alle otto di sera, a cui però hanno partecipato anche bambini di otto, nove anni. «Che ci fanno sul tetto? E se a qualcuno venisse voglia di provare una sfida nuova e si mettesse a rischio sulla balaustra? Deve accadere una tragedia?» sono alcune delle domande che rimangono in sospeso nella conversazione.

Che da tempo anche le cantine sia luogo da evitare o quasi è opinione diffusa, ma guai a chiederlo apertamente ai resistenti. La voglia di parlare qui non c’è più. Per un misto di timori, per eventuali ritorsioni, e rassegnazione. L’ultimo capitolo di questa storia raccontata a mezza voce è quella che si racchiude in una parola: esodo. Quello degli storici abitanti, che esasperati cercano nuove soluzioni di vita per lasciare questo luogo considerato ormai non più vivibile.n 
Red. Cro.

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