Truffe alle banche, 23 arresti

Sotto sequestro anche un villa a Casaletto

Arrivava fino a Casaletto Lodigiano la “rete” di un’associazione per delinquere ricostruita dalla procura della Repubblica di Milano che, secondo l’accusa, nel giro di tre anni ha evaso Iva per 16 milioni di euro, scontando fatture false per 80 milioni, e truffato quattro banche per altri trenta milioni. Primo istituto beffato, per 4 milioni di euro, la Banca Popolare di Lodi, agenzia di Lentate sul Seveso, che per un giro vorticoso di assegni risultati, alla fine, scoperti, messi all’incasso tra l’ottobre del 2007 e il febbraio del 2008 ci avrebbe rimesso 4 milioni di euro. Il recupero sarà affidato a una causa civile. A Unicredit, la banca da cui era partita la prima denuncia, era però andata ancora peggio: 22 milioni di euro, secondo gli investigatori, quelli andati in fumo.

A Casaletto Lodigiano i militari del comando provinciale di Milano della guardia di finanza, che hanno eseguito le 23 misure cautelari firmate dal gip milanese (un tempo a Lodi) Luigi Gargiulo, hanno condotto in carcere un imprenditore di 43 anni, ritenuto uno dei tanti prestanome dell’organizzazione, e un’altra persona, notificando inoltre gli arresti domiciliari a un terzo soggetto: al primo era intestata una villa, che è stata posta sotto sequestro, al terzo una decina di posti auto, anch’essi sequestrati. Pur residenti da qualche anno a Casaletto, non si tratta comunque di persone originarie del Lodigiano.

Le accuse mosse dal pm milanese Letizia Mannella spaziano, a vario titolo, dalla frode fiscale alla truffa, fino alla bancarotta fraudolenta aggravata. E i beni sequestrati, quasi sempre “per equivalente” per l’impossibilità di individuare immobili e società che costituiscono il provento diretto degli illeciti ipotizzati, ammontano a un totale di 50 milioni di euro. Ci sono ville anche a La Spezia e Comacchio, appartamenti anche sul lago Maggiore e sul lago di Garda, e ben 18 società, tra cui note discoteche di Milano quali Luminal e Karma, con il relativo immobile, e il bar Ricci Light, sempre a Milano.

Secondo l’accusa, l’organizzazione, con 65 indagati complessivamente (tutti italiani, tranne un brasiliano) e 53 società coinvolte, era già diventata leader nella distribuzione di bevande, soprattutto champagne, nei locali notturni di Milano e hinterland, praticando prezzi vantaggiosi. E poteva farlo, ritengono gli investigatori, perché faceva ricadere il debito Iva su società che puntualmente fallivano. Ma a questo schema ormai “classico” dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, per truffare l’erario, si aggiungeva quello delle truffe alle banche. Attuate aprendo conti correnti sui quali, per periodi abbastanza lunghi, transitavano fiumi di denaro: secondo l’accusa, erano società facenti capo alle stesse persone che facevano operazioni tra di loro. A quel punto la banca si fidava, concedeva l’anticipo fatture ma, anche in questo caso, la società diventava all’improvviso insolvente. In manette anche un funzionario di banca, accusato di complicità perché beneficiario di lussuose vacanze “pagate” da persone riconducibili all’organizzazione. L’operazione è stata chiamata “sinking” e nel corso degli interrogatori e delle indagini sono emerse fatture improvvisate per presentare agli investigatori giustificazioni ormai poco credibili, triangolazioni finanziarie all’estero e una serie incredibile di acrobazie societarie. Gli investigatori guidati dal capitano Enrico Mancini si domandano per quale motivo fosse stata architettata questa “macchina dei soldi”. Forse la risposta, visti i beni di lusso sequestrati, è evidente. Forse contavano su anni di impunità. Ora tocca ai giudici.

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