Strage di Erba, Castagna a S. Angelo: «Nessun rancore verso gli assassini»

È una grande testimonianza di fede quella data da Carlo Castagna, il padre, marito e nonno di tre delle quattro vittime della strage di Erba, che, in chiusura dell’incontro svoltosi venerdì sera all’oratorio San Rocco di Sant’Angelo e presieduto da don Pierluigi Leva, esorta tutti i presenti a pregare per «la conversione di Rosa e Olindo».

«Sono stati loro due - spiega nel corso del suo intervento sul tema del perdono- le prime vittime di quella terribile notte. Loro, vittime di un disegno malvagio del quale il primo e solo responsabile è il Demonio stesso». Dice di non provare nessun rancore verso gli assassini di sua moglie Paola (della quale parlerà per tutta la sera al presente), della figlia Raffaella e del nipote Youssef, e di non averne mai provato. Fin dalla mattina dopo la strage mia suocera mi disse “Se non perdoniamo non potremo più recitare il Padrenostro”, ma io mi accorsi che già in me non albergava nessun odio, nessun bisogno di vendetta, ma anzi di compassione verso quelle persone che ancora erano ignote. Un atteggiamento che stupì i giornalisti che presero a guardarmi come un marziano».

Gli inquirenti ci misero alcune settimane a trovare il filo che legava Rosa e Olindo Romano alla morte violenta delle vittime (oltre ai partenti di Castagna anche la vicina di casa, Valeria Frigerio, intervenuta per sedare la rissa) e a scoprire i motivi banali che portarono allo scoppio dell’ira e della violenza (questioni tra vicini di casa: il rumore).

Un delitto terribile, in cui Carlo Castagna vede il buio a cui solo l’assenza di luce divina può portare, ma di fronte al quale la sua robusta fede cattolica, che ha sempre coltivato insieme alla moglie Paola, non vacilla, anzi cresce.

«Non avevo dato peso alle violenze verbali dei vicini di Raffaella. A volte penso che quelle persone, così riottose, avessero avuto bisogno di essere aiutate, capite. Se io fossi riuscito a portare un po’ di luce nei loro cuori, forse avrei potuto salvare loro e, di conseguenza, la mia famiglia». Invece le cose sono andate diversamente e ora Castagna, solo, vive il suo presente accompagnato dalla una fede che lo rafforza, piuttosto che da un odio che lo indebolirebbe. «La forza dello Spirito Santo mi si è palesata alcune settimane dopo la strage: il mio nipotino, che all’epoca aveva 5 anni, il figlio del fratello di Raffaella, mi chiese se la zia fosse in cielo con la nonna. E io risposi di sì, anche se era in un cimitero lontano, in Tunisia. Ma quel bambino, colmo della forza di Dio, mi rispose facendo spallucce di non preoccuparmi “perché - disse - tanto il cielo è uno solo».

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