SANT’ANGELO Edgardo Belloni, quando donare sangue è una questione di famiglia

Per il 70enne 132 donazioni in 30 anni, è un record: fu il suocero a dare il buon esempio, ora il testimone è raccolto dal genero

Tra pochi giorni compie 70 anni e, per legge, solo per legge, non può più donare. Ma lui, Edgardo Belloni, santangiolino, 132 donazioni in 37 anni, avrebbe proseguito ancora a donare sangue. Un’attività nella quale crede fermamente e che ha iniziato a praticare grazie al buon esempio che gli aveva dato il suocero. E adesso che il signor Belloni ha smesso, la tradizione di famiglia della donazione non si ferma. A continuare, infatti, è il genero, dopo che la moglie, in seguito a un taglio cesareo, il 24luglio 2016, ha avuto una emorragia. Se non ci fosse stato il sangue di una persona come lui la donna non ci sarebbe più.

«Sono nato a Milano, nel 52 - racconta Belloni -, quando mi sono sposato mi sono trasferito a Tavazzano e ho iniziato a donare a Lodi, nel 1985. Nel 2018 mi sono trasferito a Sant’Angelo e così ho iniziato a donare lì. A quel punto ero arrivato a 125 donazioni. Dai 65 in su si possono effettuare solo due donazioni all’anno e così sono salito a 137. A convincere me a donare era stato mio suocero. Lui era arrivato a 100 donazioni. Quando ho iniziato avevo poco più di 30 anni e mio suocero era presidente. Lui faceva anche le trasfusioni dirette. Il sangue non era così controllato come adesso».

Il signor Belloni ha potuto donare fino all’8 aprile. «”Gli esami sono perfetti”, mi ha detto il medico, “è un peccato, ma per legge non puoi più donare”», racconta l’uomo. In occasione dell’ultima donazione ha scattato anche una foto con il medico Valerio Migliorini e le sue colleghe.

«Io resto iscritto all’Avis - dice Belloni -, ma a continuare la donazione sarà mio genero. Ha iniziato a donare quando mia figlia Cristina ha avuto una emorragia dopo il parto,il 24 luglio 2016 e ha avuto bisogno di sangue».

A raccontarlo la stessa Cristina Belloni in una lettera, commovente, condivisa anche sui social. «Sono cresciuta con il culto del dono - ha scritto -, ho visto sia mio nonno Gianfranco che il mio papà Edgardo con la medaglia Avis appesa al petto, quella di diamante; sono il mio orgoglio. Purtroppo mio nonno è da qualche anno che vive solo nel mio cuore, mentre il mio grande papà prosegue perché fare del bene fa stare bene. Questo è il suo motto e credo sia anche il mio». Adesso più di prima.

Quel giorno dopo il parto, racconta la donna «capii che stavo per morire. Iniziai a piangere, con le poche forze che mi restavano, mentre medici e infermieri correvano e urlavano. Non riuscii nemmeno a firmare, feci una X, capii solo che era un consenso alla trasfusione. Non volevo morire, avevo partorito la mia bambina, volevo vederla crescere. Sentivo solo che tutti mi chiamavano “Cristina, rimanga sveglia”. Ad un tratto iniziai a percepire un fresco in tutto il corpo, il fresco diventò freddo e iniziò a riprendere molto lentamente. Mi voltai verso destra, c’era la sacca di sangue appesa, la sacca di una donna a me sconosciuta che quel giorno mi ha salvata la vita. Questa esperienza ha regalato anche un nuovo donatore, il mio magnifico compagno di vita, Luigi. Per quanto riguarda me, invece, mi sono iscritta al registro Admo, nella speranza di poter anche io, un giorno, provare l’emozione di donare il mio dono».

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