Minacciato con la pistola per il prestito

Un dipendente di una ditta attiva nel trasporto rifiuti sarebbe stato minacciato dal titolare e da un suo collaboratore con una pistola affinché restituisse un prestito di 10mila euro. La vicenda risale all’inizio del 2009 e si sarebbe verificata a Marudo, ma il processo è entrato nel vivo solo in questi giorni con la deposizione della parte offesa, G.A., un 35enne di Gela che all’epoca lavorava nella ditta a Marudo. Imputati a piede libero per tentata estorsione e tentata rapina sono G.C., oggi 39 anni, a lungo residente tra Lodi Vecchio e Sant’Angelo Lodigiano e ora sotto protezione quale collaboratore di giustizia, e il suo collaboratore G.V., 49 anni, anche loro di origini gelesi.

L’azienda per la quale l’operaio 35enne lavorava era intestata alla moglie di G.C., anche se di fatto l’uomo era il principale riferimento per le maestranze. L’operaio voleva comprarsi una Volkswagen Golf nuova fiammante da 26mila euro, e per questo avrebbe chiesto i 10mila euro di prestito a G.C. Tardando la restituzione, questa la ricostruzione resa dalla parte offesa, che si è anche costituito parte civile con l’avvocato Angelo Licata di Gela, G.C. e G.V. avrebbero cominciato a fare pressioni per ottenere il saldo del debito, fino a minacciare l’operaio con una pistola allo scopo di costringerlo a firmare il trapasso della vettura. Il passaggio di proprietà comunque non risulta mai avvenuto e il lavoratore si sarebbe opposto alla restituzione del prestito sostenendo che quel denaro, in fondo, gli era dovuto perché lo stipendio sarebbe stato, a suo dire, troppo basso.

«L’arma non è mai stata trovata nonostante diverse perquisizioni - spiega l’avvocato Antonino Aloi, che difende i due imputati - e la richiesta, secondo la querela, sarebbe stata “o mi restituisci i soldi, o mi dai l’auto”. Se davvero così fosse, a mio parere si potrebbe trattare di un esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non certo di estorsione o rapina». E che i gravi reati non siano stati tentati né commessi lo ritiene anche l’avvocato Fabio Daprati di Lodi, che per alcune udienze ha sostituito il collega.

La ditta della moglie di G.C. lavorava principalmente come fornitore di servizi della Lodigiana Maceri, e, dopo che sia il gelese sia i familiari erano finiti sotto protezione, alla fine del 2010, c’era stato un cambio di management cui era seguita la chiusura dell’attività della ditta di servizi. I guai con la giustizia di G.C. erano cominciati con un’operazione contro il clan dei Casalesi in quel di Caserta, dove, nel 2007, il gelese poi trasferitosi a Sant’Angelo, aveva lavorato come camionista. Ha sempre sostenuto di essere estraneo ad attività criminali e forse è stata questa sue non appartenenza a quell’ambiente (lui siciliano in una ditta di campani in cui si sospetta circolassero armi) a suggerire il programma di protezione. Questa accusa lanciata da un dipendente non ha però nulla a che vedere né con le vicende della Lodigiana Maceri né con i trascorsi casertani di G.C.

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