Massalengo, chiude la Solbiati

Fine della storia. La Solbiati è arrivata al capolinea, un capolinea annunciato già da tempo ma comunque doloroso. In questi giorni le 52 lavoratrici dell’azienda tessile hanno ricevuto ufficialmente la lettera di licenziamento per “cessata attività”. E così la crisi s’inghiotte l’ultimo boccone di un settore un tempo glorioso e oggi “rimpicciolito”: la Solbiati, infatti, un tempo si chiamava Raffaello, una stella del tessile in tutto il Lodigiano che poi fu venduta. «Il periodo di cassa integrazione straordinaria terminerà l’8 novembre - dice con un sospiro il segretario provinciale della Filctem Cgil, Francesco Cisarri -, una vera strage. Nello stabilimento lavorano soprattutto le donne, c’è qualche uomo e anche qualche immigrato, ci sono persone che hanno 3 o 4 figli e che in tutto questo tempo hanno provato a trovare un altro posto di lavoro, senza successo».

La Solbiati annunciò la sua intenzione di chiudere i battenti nel 2010, spiegando che non era più possibile affrontare l’agguerrita concorrenza della Cina e dei Paesi dell’Est. L’azienda, infatti, ha sempre prodotto tessuti per il “made in Italy”, continuamente bersagliato dall’estero. Tra le motivazioni sollevate per spiegare la chiusura, inoltre, la Solbiati elencò i problemi di liquidità e la difficoltà a sostenere i costi elevati dello stabilimento, al punto che la fabbrica solo per restare aperta sborsava più di 4mila euro al giorno di costi legati all’energia, per lavorare 4mila metri al giorno di tessuto.

Il 2012, per i dipendenti del sito di Massalengo, è il secondo anno di cassa integrazione: «Adesso siamo arrivati alla fine del procedimento - aggiunge Cisarri -, con il passaggio alla mobilità, ci saranno tutte le competenze da definire. Il problema adesso è un altro: l’azienda avrà la liquidità necessaria per onorare i suoi impegni con i lavoratori? O dovremo prevedere dei percorsi di rateizzazione?». Tutto dovrà essere discusso insieme ai vertici.

La consegna delle lettere di licenziamento è stata accolta con amarezza anche dai sindacati, costretti a constatare che nel Lodigiano il settore tessile è scomparso. Quasi scomparso, perché alcuni “irriducibili” resistono nonostante le grandi difficoltà del settore: «I numeri, però, sono molto diversi rispetto al passato - commenta Cisarri -, se si pensa che il Lodigiano era il territorio del Lanificio. Oggi ci sono ancora, per esempio, la Steffenini e l’Avagolf a San Colombano, la Salvalaglio a San Martino e la Brizzolari a Codogno, anche se quest’ultima produce nastri. È incredibile che un intero comparto sia scomparso senza che nessuno se ne accorgesse, lo stesso è accaduto con le aziende che negli anni Ottanta producevano occhiali: non ci sono più».

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