Massalengo, addio alla Solbiati

È finita ieri la storia della Solbiati della Motta di Massalengo, ex Lanificio Raffaello. È finita la storia di un pezzo importante del tessile italiano, non solo lodigiano. Le ultime 52 lavoratrici (ma tra essi anche alcuni lavoratori) entrano ufficialmente in mobilità dopo due anni di cassa integrazione straordinaria. Per capire l’importanza dello stabilimento di Chiesuolo, alla Motta di Massalengo, bisogna fare qualche passo indietro. Michele Solbiati Sasil, colosso del tessile italiano con una storia centenaria, aveva rilevato nel 1989 lo stabilimento di Massalengo del Lanificio Raffaello. Negli anni Settanta e Ottanta Lanificio Raffaello è sinonimo di qualità e a Massalengo arrivano da tutto il mondo a vedere le collezioni di stoffe e tessuti. Qui passano imprenditori e manager da tutta Europa, tra gli altri Werner Baldessarini (poi presidente di Hugo Boss) che visionava personalmente i tessuti e le stoffe migliori del made in Italy. Qui c’era anche un grande spaccio molto popolare nel Lodigiano che contribuì a far conoscere ancora di più il marchio.

Ma l’eccellenza qualitativa è storia anche precedente, perché il Lanificio Raffaello nacque sulle ceneri del Lanificio Cremonesi-Varesi fondato nel 1868 da quattro soci (Giuseppe Varesi, Secondo Cremonesi, Luigi Cingia e Antonio Lombardo) e pietra miliare dell’industria lodigiana, a lungo prima fabbrica per occupati del territorio. Il Lanificio Cremonesi-Varesi era così all’avanguardia che ai primi del Novecento fu tra le prime industrie in Italia, ironia della storia, a sperimentare una cassa per la disoccupazione. Tutta quella storia, tutta quella qualità, da ieri non ci sono più ufficialmente. E con loro scompaiono figure lavorative che nel Lodigiano ormai non si trovano più o quasi. Donne, magari entrate in fabbrica ragazzine negli anni Settanta, che sono state rammendatrici e cucitrici. Donne che oggi hanno tra i 50 e i 60 anni, e che difficilmente troveranno ricollocazione nel mondo del lavoro, già difficile anche per i più giovani. Quando l’azienda aveva annunciato la chiusura e si era raggiunto l’accordo per i due anni di cassa integrazione straordinaria, nel 2010, le lavoratrici erano quasi 90. Un po’ di loro sono uscite con la prospettiva di riuscire ad agganciarsi alla pensione, diverse altre se ne sono andate per sfinimento, e per consentire di raggiungere il 30 per cento di uscite necessario per attivare anche il secondo anno di cassa, e così dare ancora un po’ di respiro alle ultime 52 rimaste. Rimaste e rimasti, perché qualche uomo c’è, anche se pochi. Da ieri la storia è finita, da oggi è solo burocrazia. Assistite dai sindacati, da lunedì cominceranno le firme per le procedure di mobilità. «E sul tavolo rimane la partita delle spettanze, con l’accordo già fatto per rateizzare il Tfr - spiega Francesco Cisarri della Filctem Cgil -. L’azienda ha grossa crisi di liquidità. La storia è finita, ma speriamo almeno che non ci siano altri problemi per queste lavoratrici che hanno già sofferto tanto».

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