L’antico Gabòn rinascerà

Da un legno storto come quello di cui è fatto l’uomo, non può nascere nulla di perfettamente dritto. Lo diceva il filosofo Immanuel Kant accostando le curve del tronco di un albero alla storia dell’umanità. Nelle anse del secolare Gabòn di Arcagna, nelle linee curve disegnate dalle fronde, si sono intrecciati umano e divino, storie di uomini e di fede. Un connubio da cui è nata una devozione intensa e leggendaria. E la tromba d’aria che lunedì ha abbattuto l’olmo, squarciandone completamente il tronco, non ha scritto la parola fine. Il Gabòn continuerà a vivere. Accanto alla pianta, oggi ferita a morte e transennata, ci sono già tre germogli che superano i due metri. Ieri mattina, il comune ha effettuato un nuovo sopralluogo insieme al professor Daniele Bassi del dipartimento di produzione vegetale dell’Università di Milano, anche sovrintendente dell’azienda agricola Francesco Dotti. «Ci hanno spiegato cosa fare per conservare al meglio questi “figli” - spiega il sindaco di Montanaso, Luca Ferrari - : il tronco invece sarà svuotato del cemento e dei mattoni che conteneva nella parte morta e con il legno saranno realizzate delle sculture che resteranno come memoria e testimonianza di quello che ha significato il Gabòn per Montanaso». Sul suo tronco, infatti, riposava la riproduzione della sacra effige della Madonna ritrovata il 26 settembre 1649 in un campo della cascina Pantanasco durante un’aratura con i buoi. Un episodio che coincise con la fine di un temporale durato due settimane e con il miracoloso caso del parroco di allora, don Baldassarre Burlotti, che ritrovò la favella dopo essere rimasto in silenzio per due lunghi anni. Nella storia del paese, la tradizione racconta che, trascorsi molti anni, si fosse anche deciso di sradicarlo per darlo alle fiamme, ma non che non si trovò nessuno disposto a farlo. Erano tutti troppo devoti allo storico olmo proprio per il legame indissolubile con la riproduzione del volto di Maria. Nella storia del comune si racconta che il Gabòn venne comunque sradicato, trasportato a Pantanasco e deposto sull’aia. E che qui, le sue radici, in primavera, si ricoprirono di gemme. Un segno che venne interpretato come un’intercessione della Madonna e che convinse la comunità, «con reverente timore» si legge nelle cronache, a riportarlo nella sua precedente sede. Dopo la violenta tromba d’aria di lunedì, l’immagine della Madonna è nelle mani di don Stefano Grecchi, ma l’intenzione di farla tornare al più presto lì, vicino alle radici del Gabòn. «Costruiremo una nuova edicola votiva proprio a fianco dell’albero e lì verrà sistemata l’immagine sacra - ha precisato ancora il sindaco - : intanto confidiamo nelle sperimentazioni del professor Daniele Bassi e del giovane Marco Mizzi di Montanaso, che sta scrivendo una tesi di laurea sul Gabòn e sta facendo crescere altri due “figli” del Gabòn in laboratorio». Non è il primo tentativo. Nella storia lunga 360 anni del Gabòn, altri hanno provato a riprodurlo, sempre senza successo. Ci riproverà anche Francesco Orsini, coltivatore che riporterà un ramo del Gabòn a cascina Pantanasco. In quel punto, però, dell’ombra del Gabòn già si sente la mancanza.

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