La vita di un medico di base: «Non siamo eroi, chiediamo solo rispetto»

Il dottor Eugenio Fiocchi segue millecinquecento pazienti tra Montanaso, Galgagnano e Cervignano d’Adda

Li abbiamo definiti “eroi” quando, ai tempi della prima ondata, hanno combattuto in corsia contro un virus sconosciuto. E dietro mascherine e presidi di protezione spesso ci siamo scordati che invece si celavano persone. Con le loro storie.

A raccontare la sua, è Eugenio Fiocchi, medico di medicina generale specializzatosi in malattie infettive nel 1993 presso l’università di Pavia. La sveglia a casa suona alle 6.40, tutte le mattine. «Colazione e accompagno mio figlio a scuola – spiega il dottor Fiocchi -. Ora è in Dad. E poi via, in ambulatorio».

Millecinquecento pazienti in tutto tra Montanaso, Galgagnano e Cervignano d’Adda. E, ai tempi del coronavirus, non è certo una passeggiata. Il telefono ches quilla all’impazzata, i dubbi e le paure dei pazienti che cercano risposte, quelli positivi da tenere monitorati costantemente e le visite che si susseguono.

«Il modo di lavorare ai tempi del Covid è cambiato radicalmente – commenta il medico -. Si lavora incessantemente, dodici ore al giorno. E tra appuntamenti, telefonate e burocrazia da sbrigare sopraggiunge la sera. Ma il ritorno a casa porta con sé sensi di colpa e pensieri, per le giornate intere trascorse al lavoro, sempre lontano dalla famiglia».

A condividere stress e preoccupazione della professione sanitaria, è la moglie Alessandra, a sua volta medico presso il reparto di Medicina generale dell’ospedale Maggiore di Lodi. «La notte ci è capitato di ritrovarci nel letto a piangere, distrutti per lo stress e il carico emotivo della giornata – ricorda commosso il dottor Fiocchi -. Ma anche per aver privato di attenzioni nostro figlio, a casa da solo tutto il giorno».

Come se non bastasse è sopraggiunta anche la seconda ondata, più aggressiva che mai a mietere vittime e contagi in continuo aumento. «Il virus non se ne era andato. Era solo nascosto e ora la situazione si sta dimostrando ancor più drammatica – commenta -. Basti pensare alla densità di popolazione che gravita su Milano, una delle città più colpite dalla pandemia. Un positivo può generare una serie infinita di contatti; figuriamoci un’intera famiglia». Perciò l’appello dei medici è un vero e proprio grido di aiuto: «Restate a casa, evitate i luoghi affollati, lavate spesso le mani e rispettate in modo coscienzioso e corretto l’uso della mascherina».

A darsi man forte intanto è una vera e propria squadra composta da Abele Guerini, Chiara Mariani, Samanta Meazzini, Agostino Carioni e Giovanni Fazzi. Un’equipe di medici che ha saputo sfruttare l’unione tra colleghi come un prezioso punto di forza per «un sistema decisionale fluido e pronto, che durante la pandemia ha permesso di rivoluzionare più volte l’attività in ambulatorio in modo elastico e proficuo per la salute della nostra comunità».

Un gruppo che è andato via via crescendo assorbendo una ventina di colleghi sparsi da Massalengo a Merlino, passando da Lodi Vecchio, Boffalora d’Adda, Lodi e Zelo Buon Persico: «Una vera risorsa – commenta il dottor Fiocchi -. Una collaborazione indispensabile per l’equilibrio emotivo di tutti noi medici».

E a fine giornata, quando ci si concede il tanto agognato riposo, la mente vola via: gli impegni dell’indomani, le famiglie in quarantena, il tracciamento dei positivi. I contagi in continuo aumento. «Nessuno può fare previsioni – conclude il dottor Fiocchi –. Siamo medici che fanno il loro lavoro, non eroi. Chiediamo solo rispetto. Per noi, per le regole, per le persone più fragili. Per vedere, una volta per tutte, la fine di questa terribile pandemia».

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