
Cronaca / Centro Lodigiano
Mercoledì 11 Luglio 2012
Il Gabòn ripiantato vicino al santuario
La speranza è che torni a crescere, come 300 anni fa
Una storia antica come quella del Gabòn, non poteva finire con uno schianto. E il silenzio tutt’intorno. Trecento anni dopo, la gente di Montanaso, quella che nella mattina del 12 giugno, dopo che la tromba d’aria che si è abbattuta sul paese ha squarciato in due il tronco dell’olmo plurisecolare, è andata in pellegrinaggio a vedere con i propri occhi il grande “vecchio” ferito a morte, non lo ha permesso. E a furor di popolo ha chiesto al Comune di tentare il tutto per tutto. Anche l’impossibile, sperando che l’eccezionale leggenda del Gabòn si ripeta. Il tronco del vecchio olmo, che secondo le valutazioni di alcuni esperti ha visto almeno 360 primavere, ormai cavo per un lungo tratto, è stato sagomato, spogliato dei rami più pesanti e messo a nuova dimora. A pochi passi dal santuario della Madonna di Arcagna. E qui, ogni giorno, viene tenuto d’occhio e innaffiato. E vegliato dai tanti che hanno a cuore le sorti di una pianta a cui si sono intrecciati, nei secoli, devozione popolare e identità di una comunità. La speranza, nel cuore di molti, è che lo straordinario episodio che fa parte della storia del Gabòn, raccontata con dovizia di particolare dalle cronache più antiche, si ripeta. Se l’olmo secolare, infatti, è legato indissolubilmente all’effige miracolosa della Madonna ritrovata il 26 aprile 1649 in un campo del podere Pantanasco, e per lungo tempo una copia di quell’immagine è stata a dimora in una teca posta nelle anse del grosso tronco, l’episodio a cui si appigliano in molti è quello che racconta che l’olmo, ormai morto e messo a deposto sull’aia della cascina Pantanasco, mise foglie e fiorì a primavera. Inspiegabilmente. «La decisione è arrivata per volontà del popolo - spiega il sindaco di Montanaso, Luca Ferrari - : tanti in paese non si davano pace per quello che era accaduto e ci hanno chiesto di fare un tentativo, nella speranza che quel che è accaduto in passato si ripeta». Inizialmente, l’idea dell’amministrazione era quella di realizzare delle sculture con il legno del grosso tronco spezzato. L’ipotesi di sventrare quel legno ancora vivo e vitale, evidentemente, lacerava anche troppo chi è legato al ricordo di quell’oasi di pace che era l’ombra del Gabòn. Da qui l’idea di metterlo a dimora a pochi passi dal santuario di Arcagna, nato proprio con il ritrovamento di quell’immagine miracolosa, che mise fine ad un temporale durato due settimane e che coincise con lo strano caso del parroco di allora che ritrovò la parola dopo essere rimasto muto per due anni. Intanto, i «figli» del Gabòn, quei germogli che superano i due metri di altezza, crescono. «E avranno più spazio per farlo ora - chiude ancora il sindaco - : in autunno, faremo un altro tentativo. Nel tronco cavo e riempito di terra, metteremo altri semi del Gabòn, nella speranza che nascano nuovi germogli».
E in una storia così legata all’identità di Montanaso, qualcuno non ha dimenticato di coinvolgere il maestro Antonio Cècu Ferrari, scomparso lo scorso gennaio. E sulla sua tomba ha portato un ramoscello del Gabòn e un po’ della sua ombra, come recita il biglietto. Rossella Mungiello
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