Sul morto di Orio una risposta dal dna

Ma le analisi richiedono ancora giorni

Entro la settimana arriveranno ai carabinieri del reparto operativo di Lodi i primi responsi sul confronto tra il dna dell'uomo fatto a pezzi abbandonato tra mercoledì e giovedì di due settimane fa sulla riva del Lambro a Orio Litta e i profili genetici custoditi nelle banche dati dei Ris e del servizio centrale della polizia scientifica di Roma.

Gli inquirenti guidati dal tenente colonnello Andrea Matteuzzi e coordinati dai pm Caterina Centola e Gianluigi Fontana sono ottimisti sulla possibilità di arrivare a un’identificazione, pur in mancanza delle mani e della testa, elementi che probabilmente l'assassino, o gli assassini, hanno fatto sparire proprio per intralciare le indagini e assicurarsi l'impunità. Sempre che a questo sfregio non si aggiungano anche motivazioni rituali.

Nessuna conferma invece all'indiscrezione riguardo all’avvenuto prelievo di campioni utili per la tipizzazione del dna tra le otto persone che nei giorni successivi al ritrovamento del corpo avevano segnalato ai carabinieri di aver perso le tracce da alcuni giorni di un loro parente. Segnalazioni arrivate anche dalla Sicilia, quasi tutte, però, relative a uomini che per età o caratteristiche fisiche non corrispondevano alla salma di Orio.

Tempi più lunghi del previsto, invece, per determinare la causa della morte: la ferita passante al torace, inferta con un punteruolo o con una lama sottile lunga più di 20 centimetri, non è per ora considerata con certezza come quella mortale. A questo punto non si esclude che il colpo o il taglio che hanno fermato il cuore di questo giovane, non più di trent’anni e circa un metro e 75 di statura, possano essere stati inferti al capo o nella parte alta del collo, anch’essa mancante.

La quasi completa mancanza di sangue, e delle relative tracce all’esterno del corpo o sugli indumenti, è un elemento che fa pensare a una modalità di uccisione particolare, «un lavoro pulito» l'aveva definito il procuratore capo Fontana, così come i tagli netti di tessuti molli e parti ossee. Un’opera da chirurgo, o da macellaio, magari abituato, all’uso islamico o ebraico, a trattare carni dissanguate per sgozzamento.

La pista del Marocco, Paese in cui si pratica la circoncisione e in cui esiste una località turistica, Ifrane, il cui nome era riportato su un’etichetta del pigiama, ufficialmente non viene accreditata come privilegiata, in mancanza di marchi noti di abbigliamento corrispondenti a questo nome. Gli inquirenti hanno però una certezza: meno indiscrezioni trapelano, in questa fase, maggiori sono le probabilità di risolvere il caso. E con lui, probabilmente, anche quello del morto senza mani trovato nel giugno 2007 a Inverno e Monteleone.

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