Orio, il cadavere del Lambro: indagini a una svolta grazie al Dna

Si sta lavorando su alcune segnalazioni arrivate nei giorni successivi al ritrovamento della salma». Dopo due mesi e mezzo di misteri, trapela che i carabinieri del reparto operativo provinciale di Lodi sono impegnati su diversi fronti d’indagine per verificare fino in fondo quelle segnalazioni di scomparsa, in tutto una decina, che erano arrivate dopo il loro appello rilanciato anche dal procuratore Gian Luigi Fontana attraverso la trasmissione Rai “Chi l’ha visto”. E che non si tratti più di un lavoro di routine ma di piste che potrebbero approdare alla soluzione del mistero lo conferma anche la procura della Repubblica, dove si parla di «sviluppi delle indagini in diverse direzioni».

Gli inquirenti escludono però che sia stata determinata con certezza la causa della morte. La salma recuperata il mattino dell’1 aprile era stata tagliata con precisione da macellaio in sette pezzi, con mani e testa mai ritrovati, e prima era stata dissanguata, probabilmente per sgozzamento, ma senza che rimanessero tracce di sangue sui vestiti, trovati in parte sulla scarpata del Lambro a Orio Litta, dove il corpo era stato ritrovato. «Un lavoro pulito», così l’aveva definito il procuratore. La mancanza di un referto finale sulle modalità “tecniche” dell’omicidio però non ha impedito alle indagini di andare avanti.

Dagli investigatori non arrivano per ora riferimenti ufficiali ai risultati del lavoro del Ris di Parma, i cui laboratori erano impegnati nella ricerca di fibre, tracce minerali ma, soprattutto, di profili genetici sia sulla salma sia sugli abiti. Ma l’impressione è che l’accelerazione delle indagini nasca proprio da quanto emerso dagli specialisti che hanno firmato la soluzione di alcuni dei casi più complessi della cronaca italiana.

Troppo presto per parlare di indagati, e perfino di certezze sull’identità della vittima: ufficialmente si tratta solo di diverse ipotesi al vaglio, in cerca di un riscontro, anche se riguardo all’omicidio fino a poche settimane fa il convincimento in procura sembrava essere quello del coinvolgimento di più persone, quantomeno per portare il corpo in un luogo diverso rispetto a quello dove era stato smembrato e, probabilmente, anche ucciso.

Ma la presenza di un foro passante, come di un coltello lungo e sottile, al centro del torace, ferita identica a quella ritrovata sulla salma senza mani (rimasta ignota) recuperata in un fosso nel giugno di due anni fa a Inverno e Monteleone, è ritenuta dai criminologi la “firma” di un omicida seriale. Con le mutilazioni che richiamano anche la pratica islamica di mozzare le mani ai ladri, oltre a ostacolare l’identificazione delle vittime, visto che in Italia l’unica banca dati a disposizione delle forze dell’ordine è quella delle impronte digitali dei pregiudicati, mentre quelle genetiche di Ris e Sco sono più limitate. La svolta invece in questo caso potrebbe arrivare dal dna. Dal nome della vittima poi gli inquirenti potranno passare alla sua storia e alle sue frequentazioni. L’ipotesi più accreditata resta per ora che si tratti di uno straniero, che indossava almeno un abito acquistato in Nordafrica.

Intanto, ancora ieri mattina, a fianco del ponte della Mantovana sul Lambro, dove era stata trovata la salma, passeggiavano le “lucciole”.

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