L’azienda agricola “Le Camosciate”, un luogo degli incantesimi

Maria Paola Rossi e la figlia Rachele Mezzetti hanno avviato nel 2016 un allevamento di capre che ora può contare su 500 capi per la produzione di almeno 30 formaggi

La cascina San Tommaso, a Mezzana Casati, è un luogo che se non si conosce occorre necessariamente visitare: per avere cognizione della bellezza e dell’originalità, nello scenario di una natura, tra spazi di campi e geometrie di pioppi, che echeggia il senso dell’infinito, come se non vi fosse null’altro che terra e alberi e sentieri e cielo a perdita d’occhio, senza confini.

Alla cascina San Tommaso, una corte recuperata dal tempo che la voleva rendere un rudere in decadenza, incontro la signora Maria Paola Rossi e la figlia Rachele Mezzetti, originarie di Casalpusterlengo, titolari dell’azienda agricola Le Camosciate. Nel 2016 hanno avviato un allevamento di capre e producono almeno trenta tipi di formaggi. Ore di caseificio dove la sperimentazione offre al consumatore qualità casearie di eccelsa bontà. Madre e figlia sono persone ospitali: giro tra le stalle per constatare il benessere degli animali in spazi ampi e pulitissimi, capolinea al portico dove sono esposte centinaia di antichi attrezzi della civiltà contadina, sosta al carretto presso cui sono esposti alcuni dei propri prodotti, gradito caffè all’interno del patio padronale, e cinque, sei cani che vorrebbero fare festa e che controllano, scrupolosi, ogni movimento.

Mi piace la sintonia tra Maria Paola Rossi e la giovane Rachele: la prima vorrebbe valorizzare la vivacità creativa della figlia, mentre Rachele sa e riconosce che questo luogo degli incantesimi (visitatelo, vi prego, vi è anche lo spaccio!) è tutto merito della madre.

Allora, signora Maria Paola, questo è un posto che sembra esservi da sempre, ed invece…

“Invece siamo arrivati qui solo nel 2016. Personalmente, lavoravo prima in tutt’altro ambito.”

Cosa faceva?

“Ero restauratrice, attività che ho svolto da quando avevo 18 anni, e sino ai 27, per le Sovraintendenze; c’è stato anche un periodo in cui ho insegnato all’Accademia di Restauro di Como. Poi sono nati i miei tre figli e ho fatto la mamma a tempo pieno. Quando la più piccola, Rachele, è cresciuta, solo allora, ho pensato a questo impegno.”

Partendo da cosa?

“Da questo luogo e dal mio amore sfrenato per gli animali; insieme ad un nostro amico, Massimo Buzzini, abbiamo preso le prime originarie 13 capre e un becco, cioè il maschio della capra. La cascina era una deposito: l’abbiamo svuotata e risistemata. Anni di impegno. Oggi siamo a cinquecento capre. Per fortuna Rachele, finite le scuole, è venuta a darmi una mano e oggi lavora qui.”

Mi faccia capire: cinquecento capre partendo dalle prime tredici?

“Esattamente. Anche se oggi i maschi sono cinque. Ciascuno di loro ingravida mediamente una dozzina di capre, e ciascuna fa due figli all’anno: ovviamente l’attenzione alla genetica è assoluta, evitando che i nostri becchi incontrino le proprie discendenti.”

La genetica è affascinante.

“Comprendo che lei vuole parlare di cibo, è corretto? Anche se noi, producendo formaggi, garantiamo che, anche attraverso i principi di genetica, sia assicurata la maggiore qualità possibile oltre che la necessaria quantità di latte per la sua trasformazione.”

La percepisco molto determinata.

“La mia convinzione è che più le bestie stanno bene, e più producono. Per questo sono certa che un animale di produzione debba essere trattato al pari di uno di compagnia.”

E come fate per mettere a proprio agio le vostre capre?

“Intanto è importante l’alimentazione: offriamo loro solo materie prime nobili con aggiunti i semi di lino, che fanno bene a tutti i mammiferi, in quanto gli omega3 assunti si trasferiscono nel latte e quindi nel formaggio. Poi, curiamo le capre con la medicina naturale, cercando di evitare i farmaci tradizionali.”

Mi tolga una curiosità: quanto produce una capra?

“Circa quattro litri ai giorni, con percentuali molto alte di grassi e proteine, che sono fondamentali nei processi di caseificazione. Diciamo che oggi siamo sui 700 litri giornalieri, anche qualcosina in più.”

Parliamo di formaggi?

“Certo! Cosa vuol sapere?”

Ho sentito dire che nelle vostre produzioni vi sono tracce di origine toscana, è vero?

“Sì; da anni trascorriamo un periodo di vacanza all’isola d’Elba, e qui abbiamo conosciuto un amico di mio figlio, Daniele Mattera, che ad un certo punto ha mollato tutto per fare il pastore, imparando tantissimo dai sardi che frequentemente portano all’isola le loro greggi di pecore. Da qui le ricette sarde con le quali lavoriamo i nostri formaggi.”

Maria Paola, mi faccia venire l’acquolina in bocca…da cosa cominciamo?

“Da una premessa. Lavoriamo solo il latte crudo, fondamentale per la produzione dei freschi: ricotta, crescenza, cacio ricotta, primo sale, che noi facciamo con mirtilli, fichi, basilico, frutta secca, d’estate anche fresca, e chi più ne ha, più ne metta, oltre che ovviamente primo sali lisci.”

E’ un formaggio che mi ha sempre lasciato interdetto: di cosa sa, secondo lei?

“E’ delicato, semplice, latte raddensato e sale, ma senti il vero sapore del latte.”

E la ricotta? Mi si accende il cuore di nostalgia: in Sicilia mia mamma faceva spesso pasta e ricotta…

“E’ un cibo universale. Va nei tortelli, nei salati, nei dolci, realizzata senza aggiunte nella seconda lavorazione del latte la ricotta è da mangiare così, al naturale. Le consiglio questa ricetta: un tiramisù fatto con la ricotta di capra, tempo fa la nostra amica Serena ne ha preparato uno ed era così buono che non ricordo, a memoria, di averne mai mangiato uno così buono.”

Domanda: esiste il burro di capra?

“Certo. Ma non è facile da lavorare ed ha una resa minima: cinque litri di latte hanno prodotto una nocciolina di burro piccola così. Per ora, lo abbiamo accantonato.”

Ma quanti formaggi producete?

“Una trentina in tutto. I nostri formaggi non sanno precipuamente di capra, salvo quelli decisamente più forti . Molte persone vi si sono avvicinate quale surrogato del latte in quanto soggetti ad intolleranze. Dovrebbe venire ad una nostra degustazione.”

Avete un formaggio preferito?

“Forse il massimino muffa bianca, inventato da noi, assomiglia al classico brie, ma è più delicato, e piace perché è semplice, non esagerato come sapore: è morbido e non si scioglie. Oppure il gocciolo, formaggio prodotto in estate, che si scioglie sotto una superficie di crosta dura, anche se d’inverno è più solido, ed ha un sapore molto deciso.”

Ma i nomi come li scegliete: massimino muffa bianca, gocciolo, sono proprio particolari.

“C’è anche il crisalide: perché è un formaggio che cambia sapore ed aspetto in base alla stagionatura, ma si può mangiare anche appena fatto, fresco, assomiglia al cacio ricotta. Sa qual è la sua vera prerogativa? Pochi riuscirebbero a capire che si tratta dello stesso identico formaggio, tanto è diverso nelle sue varie fasi. Pensare che nasce da un errore.”

In che senso?

“Mia figlia Rachele voleva fare la toma, formaggio per il quale occorre una temperatura a 38 gradi. Ma se ne è dimenticata ed è salita a 72 gradi. All’inizio l’ho insaccata di rimproveri. Poi, ci siamo accorte che una gradazione così alta ingloba una parte di ricotta e ne è venuto fuori questo formaggio.”

Avevamo fatto un accenno al cacio ricotta, oppure ho capito male?

“Ha compreso bene. Si tratta di un formaggio ottenuto con una temperatura a 82 gradi, che poi si abbatte repentinamente a 38 gradi, e quindi lavorato con innesti di fermenti specifici, dopodiché si aggiunge il caglio, animale o vegetale, e si dispongono i tagli, poi la cagliata si introduce nelle fuscelle; con il siero si prepara la ricotta.”

Lei mi parla di formaggi, e nella mia mente si materializza un buon bicchiere di vino.

“Ottimo abbinamento, per i formaggi dal sapore deciso consiglio il rosso. Magari la prossima volta convochiamo un enologo che ci consigli.”

Io amo le mozzarelle.

“Allora deve ripassare, perché ci stiamo ancora lavorando: quelle sinora prodotte ci sembra manchino di inventiva. Invece la scamorza, quella non solo gliela consiglio, ma gliene faccio assaggiare una: Rachele è bravissima nel preparare quella affumicata.”

Lasciamoci con uno scambio di promesse, Maria Paola.

“Le posso garantire che la naturalezza di tutti i nostri prodotti che escono dal caseificio continueranno a rispecchiare il nostro allevamento, e che su questa strada proseguiremo.”

Io invece le prometto che verrò alla vostra prossima degustazione.

“L’aspetto con tutto il cuore e a braccia aperte.”

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