Alle due di notte Hamza ha preso il cellulare e ha chiamato Domenico. Zero, tutto spento. Non poteva credere che il suo amico non ci fosse più, si erano incrociati il pomeriggio a Piacenza ed è stato il primo che il cugino “Lollo” ha avvisato pochi istanti dopo la tragedia. Lorenzo, per tutti “Lollo”, e “Dome” erano inseparabili e non è un caso che fossero insieme quando è successo l’incidente. Hamza invece era del gruppo degli amici d’infanzia che con il 16enne hanno condiviso la scuola, il pallone, le risate a crepapelle. Domenico Reitano era nato a Vizzolo e viveva con la madre nelle case Aler di viale Resistenza al quartiere Don Bosco di Codogno, i genitori sono separati e le due sorelle più grandi stanno con i fidanzati. Iscritto al secondo anno dell’istituto Cesaris, classe seconda I indirizzo informatico-elettronico, l’adolescente era un appassionato del pallone e tifosissimo del Milan.
Domenico in una foto di qualche anno fa
Il tempo lo trascorrevano così, con “Dome” che della compagnia era quello «sempre allegro e che ti tirava su il morale». Un ragazzo a posto, anche a scuola educato e rispettoso, come lo ha ricordato ieri un suo professore.
Sabato in classe avevano festeggiato l’arrivo delle vacanze di Natale, poi finita la festa Domenico Reitano e alcuni amici erano andati a quella del liceo Novello a Codogno. «Ce l’ho davanti mentre mangia le patatine seduto sull’armadio delle cartellette in aula» lo ricorda Sara, sua compagna di classe, mentre il viso le si riga di lacrime.
Al Cesaris qualcuno lo chiamava Sid, come il protagonista del cartoon “L’era glaciale”. Un modo bonario per prenderlo in giro per quel problema alla vista che lo costringeva a sforzare gli occhi per vederci meglio. Domenico però mica se la prendeva: «La buttava sul ridere, perché lui era sempre allegro e vivace. Se ti sentivi triste ti rimaneva vicino e trovava il modo per tirarti su» racconta Hamid. Amico fidato, non seguiva il gruppo. Così anche di Facebook non gliene importava niente, aveva un profilo ma senza nemmeno una foto. Non se le faceva proprio fare, e sul cellulare chi lo conosceva ha di lui soltanto delle vecchie immagini da bambino quando ancora giocava alla Fulgor. Diventato “grande” aveva abbandonato la squadra, ma non la passione per il calcio. Ed era pure bravo, i suoi gol se li ricordano ancora. Sabato pomeriggio, quando la notizia della sua morte ha iniziato a girare tra gli amici, sono stati in tanti a farsi accompagnare dai genitori e da amici con la patente a Santo Stefano. Poi la notte non hanno chiuso occhio. Qualcuno invece non ha voluto andarci e ancora ieri si domandava se l’irraccontabile fosse successo davvero.
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