«Guardando gli occhi di un vitello ho capito»

Dario Bignami, di Casalpusterlengo, è una sorta di “Borghese” vegano, organizza eventi e festival per la promozione di questo stile di vita

La somiglianza c’è, la cucina pure e allora come non soprannominarlo il Borghese vegano! Dario Bignami, 35enne casalino, ha un innegabile somiglianza con il celebre chef e da anni si adopera per diffondere la cultura vegana. «Mi sono avvicinato a questo mondo 4 anni fa - racconta -, motivato dall’impatto ambientale del cibo animale. Questo, però, lasciava spazio degli sgarri, perché per ridurre l’inquinamento, il disboscamento e il consumo di risorse idriche, per citarne alcuni, basta, appunto, ridurre il consumo di determinati alimenti. Il cambiamento radicale è avvenuto dopo, durante la visita ad un rifugio di animali salvati dall’industria alimentare: guardando negli occhi un vitello capisci che lo sgarro non è innocuo, perché ha un effetto devastante su qualcuno».

Siamo così abituati a consumare prodotti animali che fatichiamo a percepire come vengono prodotti e quali danni causino. Perciò ci sono persone che provano a sensibilizzare sull’argomento. «Le azioni dei singoli e delle associazioni di volontariato adottano strategie diverse. Tra queste c’è quella di “aggirare il discorso”, mostrando prima quanto è buono il cibo vegano, lasciando che siano poi le persone ad approfondire da sole la questione se lo desiderano. Io, con le due organizzazioni no profit di cui faccio parte, “Veg&Joy” e “Il soffio di Gea”, organizzo festival che promuovono la cucina vegana, che non sono però “feste private tra vegani”, come si tende a credere. Si rivolgono soprattutto a chi non conosce questo tipo di cucina, che non è sempre sinonimo di salutare. Credo che slegare le due cose aiuti a normalizzare».

L’ultimo festival è stato il VegImagna, a Corna Imagna, nel bergamasco. «È stato organizzato da “Il soffio di Gea” con la “Fattoria e Agriturismo La Capra Campa” e “La compagnia della polenta”, che cucina vegano per i senzatetto di Milano. Abbiamo servito paella, stufato di soia, lasagne vegane, patatine fritte e panini, come se fosse una fiera di paese, per far capire che non ci manca niente e che lo facciamo per nuocere il meno possibile al pianeta e a tutti gli esseri che lo abitano».

Il cibo vegano, comunque, «è territorio fertile per infiniti dibattiti, anche tra vegani. Ad esempio, si discute sull’utilità dei surrogati vegetali. Io credo siano utili per permettere a chi fatica ad abbandonare certi sapori e sono felice che la grande distribuzione si stia attrezzando in questo senso. Vedo che piano piano la filosofia vegana prende piede e ciò mi rende molto speranzoso».

L’impegno di Dario, però, non si limita alla cucina, infatti si dedica al volontariato in diversi rifugi, in particolare al “Rifugio Nerina”, che ha fondato a Fombio con l’Associazione “Veg&Joy”. Lì si prende cura di 16 caprette. «I rifugi sono luoghi importantissimi per gli animali e con una potenza incredibile per avvicinare le persone al mondo vegano, io dedico loro più tempo possibile».

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