Fulminato sui binari, rinviato il processo: «Attenzione al rischio della prescrizione»

«Un processo come questo non deve finire in prescrizione»: è l’accorato appello che arriva dall’avvocato della famiglia di Luca Bergamaschi, il 13enne di Codogno morto folgorato nello scalo merci cittadino nel pomeriggio del 18 ottobre di quattro anni fa, dopo essersi arrampicato su un carro tramoggia posteggiato su un binario morto. L’avvocato Massimo Cattano di Milano, che assieme al collega Francesco Poggi ha assistito la famiglia Bergamaschi, ottenendo un risarcimento da Reti ferroviarie italiane, non ha intenzione di presentare una costituzione a parte civile dei familiari nel processo, ma ieri era tra il pubblico in udienza e ha fatto un salto sulla sedia quando è emerso che mancava una notifica: tecnicamente quindi il processo non si è potuto aprire e il giudice ha subito fissato una nuova udienza. Che inevitabilmente, vista l’agenda sempre più fitta del tribunale di Lodi, sarà tra due mesi, precisamente nella prima decade di luglio.

«Ogni difesa, legittimamente, ha a disposizione anche l’arma dei tempi lunghi dei procedimenti penali per puntare alla prescrizione - constata l’avvocato Cattano - ma questo è un processo che ha un alto valore simbolico, a mio parere. E non perché la famiglia voglia a tutti i costi vedere dei dipendenti pubblici condannati. Quanto perché, come cittadini italiani, abbiamo tutti il diritto a infrastrutture sicure, a non avere più stazioni ferroviarie pericolose. E non si può non arrivare a una verità processuale perché tra primo grado, appello e cassazione non si può arrivare a un giudizio definitivo entro i termini di sette anni e mezzo in cui il reato si prescrive».

Sul banco degli imputati, dopo che l’inchiesta inizialmente era stata archiviata dalla procura della Repubblica di Lodi e quindi fatta riaprire dai legali della famiglia Bergamaschi, sono

Si tratta dei milanesi A.F.R., 55 anni, di Milano, all’epoca della tragedia capo dell’ufficio territoriale della direzione compartimentale infrastrutture di Reti ferroviarie italiane, B.P., 64 anni, capo area trazione elettrica, andato in pensione appena sei mesi dopo l’incidente, A.M., 46 anni, di Montescano (Pavia), capo reparto lavori di Voghera, L.G., 47, di San Zenone al Lambro, capo zona trazione elettrica, e A.G., 57, di Montanaso Lombardo, capo tronco lavori di Codogno. Per tutti l’ipotesi di reato è quella di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, nel caso, secondo la procura, il decreto presidenziale 547 del 1955 sugli infortuni sul lavoro. In particolare perché non c’erano barriere fisiche che impedissero l’accesso allo scalo merci: la staccionata della stazione era, in parte, divelta, e da lì Luca, un cuginetto e altri coetanei sarebbero passati per andare a giocare a nascondino sui binari morti.

«Questi ragazzi avevano violato le norme del regolamento ferroviario - è invece la difesa dell’avvocato Sonia Canevisio di Lodi, che con la collega Sabrina Tamagni difende uno dei ferrovieri -. Siamo addolorati per la tragedia, ma non dovevano assolutamente entrare nello scalo e salire su quei vagoni». Dotati di scala e sopra i quali correva il cavo di alimentazione a 3mila volt, lasciato sotto tensione.

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