Fratello ucciso, chiede i danni alle Fs

«Farò causa alle Ferrovie». Il 22 ottobre 2009 il fratello di Nore Lotfi ha perso la vita in un drammatico incidente lungo i binari della stazione ferroviaria di Secugnago. Erano le 17.15 e Ahmed Lotfi, 37enne marocchino residente a Casalpusterlengo, era appena sceso dal treno regionale 20432 partito da Piacenza. Fu un convoglio merci, il 50277 in arrivo da Milano, a colpire Ahmed a una spalla scaraventandolo contro un muro a cinque metri dall’impatto. Il 37enne morì sul colpo. Sono passati due anni e quattro mesi dal giorno della tragedia ma per il fratello di Ahmed, la moglie e i tre figli di 7, 5 e 4 anni che con i genitori anziani vivono in Marocco, è come se fosse successo ieri. La loro vita da allora non è più stata la stessa e vi è come un dovere morale, una responsabilità scritta nel legame di sangue che Nore Lotfi, 30 anni residente a Somaglia, più di tutti sente. Così dopo l’ennesima raccomandata inviata dal suo legale a Ferrovie dello Stato, per chiedere conto di quel che è successo, il marocchino ha deciso che farà causa al colosso che gestisce la rete ferroviaria nazionale. Una battaglia che si preannuncia difficile, “Davide contro Golia”. Tanto più che le testimonianze di alcuni pendolari che assistettero al terribile schianto quel pomeriggio d’ottobre in stazione a Secugnago, raccontano della corsa di Ahmed sui binari in direzione dell’uscita. L’incidente sarebbe avvenuto proprio durante l’attraversamento. Ma il fratello Nore non la pensa così, la ricostruzione dei fatti è per lui diversa ed è quella che vuole dimostrare in un’aula di tribunale: «Il treno merci correva a una velocità folle quando ha preso mio fratello a una spalla e l’ha buttato contro un muro». Quel giorno Ahmed e Nore avevano trascorso la giornata insieme, il primo era andato a trovare il fratello a casa a Somaglia e solo dopo aver pranzato era tornato a Casalpusterlengo in bicicletta. Quindi in stazione a Casale aveva preso il treno per Piacenza. «Doveva cambiare la batteria del cellulare che gli si era rotta - ricorda Nore -, mi aveva detto che sarebbe andato al Borgofaxall e gli avevo chiesto di comprarmi delle tazzine del caffè». Erano rimasti d’accordo che si sarebbero rivisti la sera stessa, sempre a casa di Nore a Somaglia. E non si capisce il perché Ahmed fosse arrivato a Secugnago. «Può darsi che si sia addormentato e quando si è accorto che era in stazione a Secugnago è sceso - ragiona Nore -, l’ho chiamato al telefono ma non rispondeva». Mentre il cellulare squillava a vuoto, il fratello maggiore era già morto. «Chiedo giustizia - ripete sconsolato il 30enne di Somaglia -, non viviamo in una giungla e devono essere riconosciute le responsabilità per quello che è successo a mio fratello. I miei genitori mi hanno insegnato che i soldi non portano la felicità, ma devo sapere di aver fatto tutto quello che è mio dovere fare».

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