«Ergastolo per chi ha ucciso mio figlio»

Il papà di Stefano Raimondi: «Non rischiamo che possa rifarlo»

«Al delinquente che ha ucciso mio figlio devono dare l’ergastolo»: solo a quasi un mese dalla tragedia di Mykonos Paolo Raimondi, il papà di Stefano, ritrova la forza per commentare l’omicidio che ha segnato la sua famiglia, e aggiunge «penso che andremo a seguire il processo in Grecia». Alexander Georgiadis, il 23enne cittadino svizzero e greco che ha confessato di essere l’assassino, si trova tuttora nel carcere di Korydallos, presso Atene, e non si fanno ancora previsioni certe sui tempi di avvio del processo: da qualche mese, secondo le previsioni della procura di Lodi, fino a un anno, secondo l’avvocato Alexandra Dimou, che rappresenta in Grecia la famiglia Raimondi. Le indagini sono ancora in corso.

«Comunque andrà, mio figlio non me lo restituirà più nessuno – continua Paolo Raimondi -. Questo ragazzo che ha ucciso non deve cavarsela facilmente, deve avere il massimo della pena, e io farò il tifo perché accada. Perché, per come è andata, poteva uccidere chiunque. Si deve fare in modo che, quando esce, si sia certi che non possa uccidere più, con una pena non adeguata potrebbe rifarlo».

Finora, a Ospedaletto non sono arrivate scuse dalla famiglia o dalla difesa del 23enne svizzero, e nemmeno direttamente dal giovane: «Assolutamente niente, nemmeno un messaggio». Papà Raimondi vuole confidare nella giustizia greca, «ma è solo una speranza. Io di solito ho sempre avuto poca fiducia nei giudici e ho saputo che l’avvocato che difende questo 23enne è un politico importantissimo in Grecia. Troverà il modo di fare cambiare l’accusa di omicidio volontario, almeno è questo che io temo. Spero di ricredermi».

Poi il pensiero torna ai fatti di quella notte: «Se voglio picchiare una persona dò un pugno. Se prendo con due mani una bottiglia, leggera o pesante che sia, e la impugno come una mazza da baseball, lo faccio per uccidere. Sembra che per il colpo contro la testa di mio figlio la bottiglia si sia anche rotta, tagliandolo».

E ritorna, incancellabile, il ricordo di Stefano: «Era buono, intelligente, bello». Vent’anni in poche frasi: «A volte, quando io e mia moglie al sabato volevamo uscire a cena, gli chiedevamo di fermarsi in casa per giocare con il fratellino minore, e non ci ha mai detto no. Rinunciava alla serata con gli amici. Eravamo noi genitori che cercavamo di non approfittarne. Non ci ha mai risposto indietro. Nemmeno quando, a fronte di un rimprovero è normale che i ragazzi di una certa età lo facciano». E poi ancora «il concorso di matematica alla Cattolica cui aveva partecipato quando ancora andava al liceo San Francesco: era arrivato secondo o terzo», e, appena pochi mesi fa, «ha dato quattro esami di università in un mese, l’abbiamo visto studiare una settimana per uno. Così intelligenti si nasce, era un talento naturale».

E il carattere mite spiega per i genitori anche cosa può essere successo all’alba del 29 luglio nella discoteca Cayo Paradiso di Mikonos: «Era intervenuto per dividere i suoi amici da quelli che stavano litigando con loro. Ha detto qualcosa, quello svizzero se l’è presa con lui. Stefano non se l’aspettava. Se avesse voluto menare le mani, fare rissa, non sarebbe certo andato così vicino da poter essere colpito. Quei tre ragazzi, a quanto ho letto, erano stati visti bere tantissima vodka. E lo sappiamo che con l’alcol c’è chi ride, chi diventa molesto, chi diventa violento. E penso che anche un locale in cui succede un fatto così grave debba avere delle responsabilità».

Parla per la prima volta il papà di Stefano Raimondi, il ragazzo di Ospedaletto ucciso in discoteca a Mykonos. Paolo Raimondi chiede giustizia e invoca l’ergastolo per l’assassino di suo figlio: «Non possiamo rischiare che possa cavarsela facilmente: nessuno ci ha chiesto scusa, andremo in Grecia per il processo»

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