Dal mostro di Firenze al giallo di Orio

Il decano della medicina legale italiana Giovanni Pierucci, impegnato in passato anche in uno dei filoni d’indagine per i delitti del “mostro di Firenze”, escludendo che la salma nel lago Trasimeno fosse del dottor Narducci, è nel pool che sta lavorando sulla salma smembrata di Orio Litta. Perché il Dipartimento di medicina legale dell’Università di Pavia, ora diretto da Maria Giovanna Ruberto, è tra i fiori all’occhiello della ricerca e della scienza applicata in Italia. «Qui entrano solo i migliori», sottolineano con orgoglio nei corridoi. Dove sono passati anche reperti per i casi Feltrinelli, Sindona e Calvi. «Non ci siamo occupati solo di vicende accadute in Lombardia – spiega con cortesia Yao Chen, uno dei medici legali spesso chiamati come consulente dall’autorità giudiziaria – e non lavoriamo solo sui delitti. Altrettanto importante è il lavoro sulle patologie, sui traumi, sui procedimenti per responsabilità medica». O anche sulle certificazioni richieste a chi è segnalato come assuntore di sfupefacenti, con una sfilata di giovani che ogni giorno si presentano al Dipartimento per l’esame di capello e urine. Gli strumenti da Csi ci sono, ma “nascosti” nei laboratori: «Abbiamo anche un bel microscopio a scansione che ci permette di individuare tracce infinitesimali di qualsiasi sostanza – prosegue il medico di origini cinesi – e anche il fronte dell’entomologia forense sta diventando molto più importante. Non risolve i casi da solo, ma dà indicazioni». Si tratta dello studio degli insetti presenti nelle salme sotto forma di uova o larve: «Ci possono dire con precisione l’epoca della morte, e, con un confronto con la fauna tipica di ogni luogo, indicarci anche dove è avvenuto il decesso». Qui le analisi sul Dna si chiamano “emogenetica”, con termine scientificamente più corretto perché i primi risultati di questa scienza si erano ottenuti con le cellule del sangue, e poi si lavora anche con la chimica e la tossicologia, per la ricerca di veleni o droga. «Abbiamo un approccio multidisciplinare – sottolinea la dottoressa Chen – e questa è la nostra forza». Altri istituti hanno perfino un sito Internet in cui vengono pubblicati i volti, rielaborati al computer, dei morti rimasti senza nome. «Queste elaborazioni le facciamo anche noi, ma preferiamo che sia poi l’autorità giudiziaria a occuparsi della diffusione delle immagini, se lo ritiene necessario per risolvere i casi».

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