Codogno piange i medici scomparsi in prima linea contro il Covid

I nomi sono risuonati durante la commemorazione al memoriale delle vittime

«Il dottor Carli appena giunto a Nuova Delhi isolato dal resto del gruppo». «Il dottor Borghi di Casale ricoverato per insufficienza respiratoria». «Natali non sta bene, è in ospedale». «Ivano… il mio amico, il dottor Vezzulli, ricoverato». Sabato mattina, al memoriale delle vittime Covid in via Collodi, i nomi dei medici lodigiani caduti “al fronte” nella guerra alla pandemia, sono risuonati nelle parole della dottoressa Clelia Negri, medico di base a Codogno, anche lei sulla prima linea. Una “sopravvissuta”. Anziani e giovani, i parenti di chi ha perso la vita strappato dal virus, chi sapeva dell’appuntamento e non è mancato e semplici passanti, si sono uniti in preghiera per il personale sanitario caduto nella pandemia. A guidarli don Antonello Martinenghi, che ha ripercorso le tappe della via Crucis tenutasi un anno fa. Prima è stata la dottoressa Negri a ripercorrere quei drammatici momenti del febbraio 2020 quando il Covid-19 colse tutti di sorpresa, portando dolore e morte. «Ero in vacanza a Berlino e i miei figli in montagna quando ho ricevuto la prima telefonata che ci consigliava di non rientrare perché stava succedendo qualcosa di grave» ha ricordato il medico, che “puntualmente”, «anche per un inconscio senso di responsabilità», rientra invece subito in Italia. Si rimette il camice. E «il lunedì apro l’ambulatorio e inizio il mio lavoro come al solito» racconta. Di quel “solito” però non è rimasto niente. E se ne accorge presto. «C’era confusione, un ritmo frenetico, tutti che chiedevano e volevano essere rassicurati». Gli si chiede di essere “indovini”. Non medici. “Indovini”. Perché del Covid si sa poco o niente e per di più «mancavano le mascherine, i guanti, i disinfettanti, non c’erano i presidi a sufficienza per tutti». Si continua a morire. E anche tanti medici pagano un tributo enorme. Sono trascorsi due anni dallo scoppio della pandemia, eppure la ferita che il Covid ha lasciato in tante famiglie è intatta. Si spiega così la piccola folla silenziosa radunata al memoriale, sabato mattina. «C’è sempre un risvolto spirituale in quello che facciamo e allora credo che questa commemorazione è un momento per ridire il nostro grazie al personale sanitario, a tutti coloro che hanno lavorato e a quelli che il grazie lo possono sentire soltanto dal regno dei cieli perché non sono più qui in mezzo a noi» ha detto don Antonello Martinenghi, includendo nel compianto anche i sacerdoti e i religiosi morti per il Covid.n

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