Codogno, un anno fa la scomparsa di Mario Dusi

Se solo si trovasse una scarpa, un brandello della maglia che indossava quel giorno, si potrebbe ripartire da lì. Era il 29 giugno di un anno fa quando il codognino Mario Dusi spariva dalla città lasciando dietro di sé un rebus di interrogativi rimasti tuttora irrisolti, dalle vetrine dei negozi gli ultimi volantini con la sua foto sono stati levati a febbraio e la patina dell’oblio comincia a sbiadirne il ricordo. Non della moglie Antonietta e della figlia Michela, però, per cui il tempo s’è arrestato quel fatidico giorno: «Si vive perché si deve andare avanti ma la notte non dormi più, ti chiedi se sia vivo, in Italia o all’estero, continui a sperare perché ne senti tanti che tornano o ritrovano e poi però pensi che è assurdo, che mio padre era malato ed è più probabile sia morto».

È un’angoscia sottile, che lavora dentro come un tarlo ogni giorno, quella che la figlia descrive rispondendo al telefono dalla casa dei parenti a Caserta. L’anniversario della sparizione del padre cade con l’onomastico del figlioletto Pietro, per quell’intreccio beffardo che tiene insieme la vita e la morte e la giovane madre in bilico tra il dovere di guardare avanti e l’impossibilità di farlo realmente.

«Ho preferito staccare un attimo e venire a stare un po’ qui con i nonni materni di Pietro - spiega Michela -, dico spesso che mio figlio è un po’ il figlio di Codogno. Dopo quel che è successo tanta gente mi è stata vicina e devo ringraziarli. In questo giorno però sentivo il bisogno di non avere l’attenzione addosso». Negli ultimi mesi i teoremi per provare a dare una spiegazione della tragedia sono stati i più diversi, e ad ogni nuovo fatto di cronaca che anche lontanamente richiamasse il caso del 66enne, subito si riaccendeva la speranza di riabbracciarlo oppure il timore di averlo perso per sempre.

«Ne ho sentite di ogni in questi mesi - prosegue la figlia - che una setta satanica o un’associazione criminale interessata alla vendita di organi potevano aver rapito mio padre, mentre il commissario per le persone scomparse batte più sulla sua scomparsa in Po o in Adda». Le ricerche condotte sul territorio dalle forze dell’ordine, dalla protezione civile e dai vigili del fuoco hanno passato al setaccio ogni angolo: rogge, canali, terreni agricoli, i due fiumi. E dove si sono interrotte quelle, hanno cominciato a cercare Michela e il marito Davide: contattando la trasmissione “Chi l’ha visto?” e spedendo lettere alle Asl di tutt’Italia per sapere se qualche ospedale avesse ricoverato uno sconosciuto. Persino a Trenitalia, casomai l’anziano fosse salito su un treno e magari multato. Tentativi però senza alcun esito.

Tanto che l’ipotesi più accreditata continua a rimanere che l’anziano sia affogato. «Voglio lanciare un appello a chi lavora, fa sport oppure con la stagione estiva andrà in barca sul Po o sull’Adda - spera ancora Michela - perché se dovessero vedere una scarpa, un pezzo di stoffa lo segnalino ai carabinieri di Codogno». Basterebbe un indizio come quelli per ricominciare a indagare.

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