Ai marocchini il tempio della raspadura

Cous cous e lasagne, ceramiche della Vecchia Lodi e alla parete una sura del Corano. Tu chiamala se vuoi “contaminazione”. È uno dei negozi storici di Codogno, legato indissolubilmente al mago della raspadüra Isidoro Riboldi, eppure oggi l’ex salumeria di via Vittorio Emanuele è diventata il tempio della cucina “fusion”. Da due anni il locale era chiuso e a farlo rivivere hanno pensato Abdessamed (per tutti Sam) e Huda, marito e moglie marocchini residenti a San Fiorano. Da una vita in Italia. Lei ha un diploma all’alberghiero ed è la regina dei fornelli, Sam è tecnico frigorista e cura il reparto carni. Oltre a preparare la raspadüra, “a mano” come gli ha insegnato “Doro”. Tra i giovani sposi e il codognese è nata una vera amicizia e il maestro li sta aiutando a recuperare quella clientela che dopo la sua uscita di scena era andata persa. Gli affezionati però ritornano, come Pia ad esempio: «È stata la mia salumeria per trent’anni e appena ha riaperto sono entrata a vedere - racconta la 86enne -. Stamattina sono venuta a prendere mezzo etto di prosciutto». Huda le spiega che i salumi sono solo di manzo, tacchino e pollo, il maiale è severamente bandito dalla tavola islamica. Anche la macellazione è diversa, la carne dissanguata. «In molti dicono di apprezzarla e vengono qui apposta - spiega la giovane marocchina - il sapore è diverso e c’è chi lo preferisce a quello della macellazione tradizionale». La cosa buffa è che gli italiani chiedono il menù marocchino (altro piatto forte è il tajine) e gli stranieri quello nostrano. L’annuncio in vetrina “venerdì cous cous” attira i clienti più del miele: «È un piatto che adoro ma non so proprio cucinarlo - spiega una massaia di Fombio -. Cuocerlo a vapore è troppo complicato così ho provato a farlo bollire, un disastro». La pensa così anche Ester, in famiglia il cous cous piace a tutti ed è già la quarta volta in poche settimane che viene a prenderlo: «A casa lo preparo secondo la ricetta italiana e la differenza si sente - ammette -. Il cous cous di manzo è fantastico e anche i dolci sono deliziosi». Chi entra da “Zara”, il nuovo nome che Sam e Huda hanno dato alla gastronomia, non esce senza aver assaggiato uno dei pasticcini in bella vista sui piatti Vecchia Lodi: «La piramide lì davanti si chiama Selu, è fatta con farina tostata, mandorle, semi di sesamo e miele - spiega la cuoca -. Molti dei nostri dolci contengono miele, cannella, nel mese sacro del Ramadan vanno forte». Sam arriva dalla cucina con vassoio, teiera e bicchieri ricamati: «Prego, è tè verde marocchino alla menta». Un po’ d’imbarazzo e poi un cliente si lascia tentare. «Lo serviamo dopo le 17, come a Marrakech». Profuma di grana lodigiano, invece, la raspa tagliata a lamelle sottili da Sam: «Sono bravissimi - commenta Isidoro - sanno trasmettere la loro tradizione e valorizzare la nostra». L’allievo sorride, poi racconta: «Io e Huda avevamo pensato di chiamare il negozio “Oltre Po” ispirandoci ai più noti “Oltre Mediterraneo” che si trovano un po’ ovunque. Poi abbiamo scelto “Zara” che per noi ha un significato particolare, ma la filosofia è quella di unire la cultura araba e occidentale».

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