Valgono più i compiti o un bel libro?

«La vera sapienza non consiste nell’imparare molte cose, ma nello scoprire quella sola che le regola tutte in tutte le occasioni». A dirlo è quel misterioso Eraclito che si è divertito un sacco a lasciare un bel po’ di frammenti o perle di saggezza come si ama dire oggi, raccolte nell’unico libro che scrisse intitolato Sulla natura e che ha dato un bel da fare a chi si è messo in testa di offrire quei pensieri in riflessione. Similmente possiamo dire che è discutibile assegnare tanti compiti per casa o nei periodi di vacanza, quando invece sarebbe più utile appassionare i ragazzi alla lettura di un buon libro. E’ questo, in estrema sintesi, il parere espresso dalla ministra Maria Chiara Carrozza con riferimento all’interruzione didattica per le vacanze natalizie. Quella dei compiti a casa è una storia vecchia quanto la scuola. Già Marco Fabio Quintiliano raccomandava il magister affinché i ragazzi imparassero «non multa, sed multum», ovvero non molte cose, ma molto. Sappiamo di insegnanti che preferiscono assegnare compiti in maniera esagerata soprattutto durante le vacanze, mossi dalla convinzione che vivacchiare nei pomeriggi o durante i periodi di sospensione delle lezioni, sia un modo di incoraggiare i giovani a vivere in ozio. La pensava così anche Solone che nel riformare il codice morale ritenne l’ozio un crimine sociale, per fortuna gli uomini passano e con loro si evolvono le idee. Non così, infatti, la pensavano i greci del dopo Solone che al contrario consideravano l’ozio la più nobile delle virtù tanto da ritenere questa attività come un’ottima occasione per diventare artefici del progresso spirituale, civile e culturale. Ora personalmente mi affianco ai greci del dopo Solone, non tanto perché considero l’ozio come un dolce non far niente, ma come occasione di vita e di passione per trovare nuovi stimoli, per imparare a fare e a muovere le idee, per produrre o mostrare capacità operativa attraverso la conoscenza, la riflessione, l’applicazione. La lettura offre queste opportunità. Quindi fa bene la ministra a invitare i docenti a non esagerare nell’assegnare i compiti e nello stesso tempo i ragazzi a non perdere occasione per approfondire le proprie conoscenze, dedicando del tempo alla lettura di un buon libro. Leggere non è solo conoscenza, ma è anche e soprattutto crescita sociale, dominio delle passioni, sconfitta delle ambizioni, scoperta del pensiero altrui, occasione di arricchimento della propria interiorità. Questa, per dirla in una sola parola, è Cultura. Un concetto che porta all’affermazione di se stessi in un contesto relazionale, offrendo una concreta risposta a chi è in cerca di autostima. La cultura, dunque, come mezzo e strumento per contribuire a fare di un’idea un’occasione di crescita messa a disposizione della collettività. Il contrario dell’ignoranza che soffoca e deprime ogni voglia di conoscenza o peggio ancora che sprona il singolo soggetto a cercare nel sottobosco dei propri pensieri quelle particolari opportunità di affermazioni per ribaltare determinate convinzioni. Altrettando dicasi della cultura come strumento di potere e di successo. Non è questa la strada per crescere. Potere e successo sono aspirazioni che molto spesso determinano occasioni di debole rispettabilità. Ce lo fa capire Demostene noto per le sue Filippiche contro Filippo il Macedone, a cui dedica (si fa per dire) un sibillino e ironico riconoscimento: «Che uomo! Per il potere e il successo ha perso un occhio, ha una spalla rotta, ha un piede e un braccio paralizzati. E ancora non c’è chi lo possa mettere in ginocchio!». Utilizzare il potere come strumento di successo personale non fa parte della cultura attiva; vivere il potere come preoccupazione alla ricerca di soluzioni necessarie per il raggiungimento del bene comune, questo fa parte della cultura responsabile. Preoccupazione intesa come pre occuparsi ovvero occuparsi prima che non è, quindi, rassegnazione. L’esempio lo ha dato la nostra ministra quando in una recente intervista ha tra l’altro detto: «a volte, alle quattro del mattino mi chiedo come faremo a pagare i supplenti, a integrare gli studenti stranieri, a riparare le scuole». Sono parole d’angoscia che rivelano il peso del potere da sopportare con fiducia e con tenacia per ritrovare nella mediazione la via d’uscita. Il riferimento va a situazioni complesse e complicate che solo una paziente opera può allentare. L’opera di chi vede nella condivisione l’opportunità di ricercare insieme con saggezza e pazienza quella strada, in salita, ma rispettosa delle aspettative altrui. E questo la ministra lo sa. La lettura di un buon libro offre una valida opportunità alle diverse alternative di vita. Ecco perché il libro va preferito a un notevole dispendio di energie messo in campo per fare i compiti che il più delle volte si concentra in pochi minuti della giornata o nelle ultime ore racconciate il giorno prima della fine del periodo di vacanza. L’esercizio imposto non è la stessa cosa della lettura di un libro scelto o ricevuto in dono dove è possibile sprigionare energie di diversa natura che aiutano a creare una propria forma mentis, un proprio punto di vista, una personalissima visione del problema fino a trovare nella posizione critica la risposta al tema esaminato o al problema affrontato. Basta questo per incoraggiare i ragazzi a leggere un libro. Che sia di avventura o un romanzo sdolcinato, che sia di fantascienza o un saggio argomentativo, poco importa. Ciò che importa è la scoperta del gusto della lettura come scoperta di se stessi. Agli insegnanti, quindi, tocca riflettere sull’invito della ministra. Meno compiti e più occasioni di vita che vanno talvolta anche oltre la lettura di un buon libro. E allora va bene promuovere la visita a un museo, andare a cinema, vivere quei bei momenti di evasione sociale per ritrovare da una parte il significato di amicizia con gli amici e dall’altra la riscoperta della condivisione della serenità con il proprio nucleo famigliare. Lasciamo spazio ai ragazzi e alle famiglie di vivere queste opportunità che finiscono col dare pieno significato alle parole di Quintiliano.

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