Usa e Europa, due pesi e due misure

“Negli Stati Uniti, molti Stati contribuiscono al livello federale in misura decisamente maggiore rispetto a quanto non ricevano da esso, mentre altri hanno bisogno di una rete di sostegno significativa. Il sistema funziona e, in stile thatcheriano, non si sente quasi dire ‘voglio indietro i miei soldi’”. L’autore di questa frase è appena tornato da un mese di lavoro negli Usa, dove le percezione dell’Ue e della sua economia sono estremamente negative. Gli americani non negano che la crisi economica che ci è crollata addosso nel 2008 sia stata generata dai fallimenti negli Usa, piuttosto che in Europa: la rivelazione degli acquisti di massa delle ipoteche a tasso variabile (i cosiddetti “subprime mortgages”) aveva condotto alla necessità di salvare istituzioni americane immense, quali la “Freddie Mac” e “Fanny Mae”, e al collasso della Lehman Brothers. Gli americani sanno che c’è ancora, nel 2012, una grave crisi negli Usa. Tre città nella sola California hanno presentato istanza di fallimento nell’ultimo mese, e l’impasse tra Senato e Congresso rende impossibile prendere decisioni serie prima delle elezioni presidenziali di Novembre. Ciononostante, diversi commentatori mettono a confronto le capacità di governance, rispettivamente di Usa e Ue, nell’affrontare questa crisi, in buona parte a svantaggio dell’Ue.È così che negli Stati Uniti, molti Stati contribuiscono al livello federale in misura decisamente maggiore rispetto a quanto non ricevano da esso, mentre altri hanno bisogno di una rete di sostegno significativa. Il sistema funziona e, in stile Thatcheriano, non si sente quasi dire “voglio indietro i miei soldi”. Sia la Spagna che lo stato della Florida hanno avuto nello stesso modo enormi bolle immobiliari seguite da drammatici tracolli. La Florida ha potuto contare su Washington per continuare a pagare i sussidi sociali e l’assistenza medica, per garantire la solvibilità delle sue banche e per offrire aiuti d’emergenza ai suoi disoccupati. La Spagna non ha avuto una simile rete di salvataggio.Per mettere fine a questa disparità, sarebbe necessario un nuovo modello di Ue, inaccettabile per tutti i suoi membri. Senza dubbio, la Grecia e la Spagna accoglierebbero favorevolmente un sostegno più sentito da parte dell’Ue. Tuttavia, nessuno Stato membro dell’Ue accetterebbe uno status equivalente a quello del Mississippi o della Florida all’interno degli Usa. È strano rimproverare implicitamente l’Ue per non riuscire ad essere gli Usa.Sia gli Usa (come il nome plurale implica) che l’Ue incarnano una tensione fondamentale tra l’unità e l’autonomia degli “Stati membri”. Nel caso dell’Ue, la tensione è intrinseca e, in linea di principio, salutare. Risolverla a vantaggio della “comunità” metterebbe fine alla realtà della sovranità nazionale sostanziale. Ciò non accadrà per molte ragioni: economica (il budget Ue rappresenta approssimativamente l’1% del PIL dell’Unione), militare, e soprattutto politica perché poche persone lo vogliono. Risolverla a vantaggio di un inter-governamentalismo trasformerebbe l’Ue in una mera associazione, mentre la sua “raison d’être” è che la sovranità nazionale è volontariamente condivisa entro certi termini, per cui trascesa.Chiaramente, la crisi ha messo in luce difetti nella governance all’interno della zona Euro e dell’Ue stessa. La Commissione propone; ma coloro che decidono sono gli uomini politici nazionali leali in primo luogo al proprio Stato. Questo semplice fatto definisce anche il problema. Quando è sotto pressione, la maggior parte degli Stati considera l’Ue come la fonte del, o la minaccia al, supremo beneficio nazionale. Gli Stati più poveri cercano quella sicurezza economica che non possono raggiungere da soli; i più ricchi inseguono mercati relativamente protetti. Nei casi più rigorosi, quello del Regno Unito, i politici regolarmente chiedono se una certa politica europea sia “positiva per la Gran Bretagna”. Nessuno chiede se la politica britannica sia “positiva per l’Europa”. La zona euro sopravvivrà, e si merita di sopravvivere, solo se esprimerà una solidarietà che mitiga gli interessi nazionali.

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