Una scuola particolare tutta da capire

«Fra i banchi il bullismo omofobico è forte: spinge i ragazzi all’isolamento e nei casi peggiori, al suicidio». E’ quanto ha dichiarato recentemente alla stampa Amelia Lee direttrice del primo progetto in Europa di una scuola per gay e lesbiche. Una scuola che è prossima ad aprire a Manchester come proposta sperimentale presentata alla stampa e approvata dal Ministero dell’Istruzione di sua Maestà Britannica. Naturalmente com’era da aspettarsi l’opinione pubblica inglese si è divisa tra favorevoli e contrari, tra edificati e scandalizzati, tra i ben disposti e gli indignati. La materia è molto delicata e non ho la pretesa di ergermi a giudice severo delle altrui azioni. Tuttavia credo che un’opinione sia giusto averla su un’idea concretizzata mediante un progetto che non vuole essere né bizzarro, né tanto meno essere sdoganato come normale. Motivazioni scolastiche da una parte e sociali dall’altra hanno convinto la mia collega ad agire. Le prime sono riconducibili a un preoccupante fenomeno legato all’abbandono scolastico da parte di ragazzi gay. In Inghilterra si è stimato che tale fenomeno si attesta su una percentuale che varia tra il 5 e il 10%. Si tratta di ragazzi in obbligo scolastico e questo rende il dato ancor più allarmante. Il governo inglese accoglie positivamente il progetto, inserendolo tra quelli da finanziare con fondi pubblici. L’intervento statale avrà un costo notevole in quanto il progetto prevede non solo un piano formativo permanente destinato ai docenti chiamati a insegnare in questo tipo di scuole, ma è anche previsto la collaborazione diretta di figure specifiche, come gli psicologi, chiamati a collaborare a fianco dei docenti per affrontare al meglio queste problematiche così delicate. Tutto bene dunque? Niente affatto. La maggiore accusa che viene mossa alla mia collega inglese è quella di aver messo in piedi un progetto che potrebbe portare alla ghettizzazione di molti giovani che verranno così esclusi da un cammino comune con i loro coetanei se inseriti in classi normali. Di diverso avviso, ovviamente, è l’autrice del progetto che vede in questo una preziosa opportunità per arginare il fenomeno dell’abbandono scolastico e della ghettizzazione sociale di questi ragazzi. Ragazzi che, invece, possono trovare in questo particolare cammino l’opportunità di ritrovare il rispetto per se stessi, per come sono, per come potrebbero aiutare gli altri al rispetto del diverso. Personalmente ho delle forti perplessità. Ritengo, infatti, molto elevato il rischio di ghettizzare dei ragazzi che al contrario hanno più che mai bisogno di vivere una relazione serena con i propri coetanei fatta di gioie e dolori, di sentimenti e passioni, di contrasti e intese. Fatta, cioè, di semplice quotidianità. Preoccupanti sono, invece, le motivazioni a carattere sociale. Ragazzi giovanissimi in preda a forti cambiamenti fisici e psicologici, in cerca di una propria autoconsapevolezza in tema di identità di genere, uno stato che può originare dubbi e confusioni. La paura di sentirsi soli e non capiti tiene la loro sensibilità continuamente sulle spine fino ad arrivare a una negazione di se stessi. Paura di sentirsi rifiutati dai famigliari, dai professori, dai compagni di scuola, non fa che accrescere in loro uno stato di stress emotivo fino a portarli verso una profonda e pericolosa prostrazione. Un episodio in particolare ha spinto la mia collega britisch ad accelerare la messa in opera del progetto. Il suicidio di un’adolescente nel parco di Manchester. Un fatto di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica e che si è imposto all’attenzione non fosse altro che per l’ignoranza, nel senso di mancata conoscenza da parte di chi viveva accanto alla ragazzina, nell’interpretare certi significativi segni premonitori che hanno condotto l’adolescente al suicidio. Si tratta di Elizabeth Lowe, quattordici anni appena, che decide di impiccarsi a un albero del parco cittadino. Le motivazioni del drammatico gesto vanno ricercate in una incerta identità di genere che il più delle volte si mescola alle crisi esistenziali che questa età porta. Un fardello emotivo pesante da sopportare se associato a uno stato di paura vissuto nell’attesa di attendersi comportamenti discriminatori che possono venire dagli ambienti più vicini: la famiglia, gli amici, la scuola. Ma anche paura di chiedere aiuto. Ad Elizabeth è successo tutto questo. Pregiudizi, emarginazione, isolamento, paura di raccontare ad amici e genitori lo stato di lesbica, l’hanno prostrata al punto da rinunciare al dono più prezioso: la vita. Nessuno pare avesse capito la sua situazione. I compagni di classe in preda a un bullismo omofobico hanno reso difficile se non impossibile la sua partecipazione attiva alle varie iniziative scolastiche. Gli insegnanti forse più preoccupati di rincorrere il programma non hanno saputo gestire certe particolari dinamiche, non hanno trovato strategie educative per soffocare sul nascere quei rigurgiti discriminatori. I genitori di Elizabeth hanno probabilmente avuto paura di affrontare la situazione, trascinando la ragazza in un sentimento di rifiuto dei più elementari affetti. L’ostracismo sociale e scolastico non può che essere stato una naturale conseguenza dove hanno trovato spazio le umiliazioni, l’auto-isolamento, l’ansia, la depressione, fino ad arrivare alla voglia di farla finita. Sono tragedie vissute anche da noi. E’ appena il caso di ricordare la storia di Roberto, un ragazzo romano di 14 anni, gay, che ha scelto di lanciarsi nel vuoto da un’altezza di venti metri perché deriso, preso continuamente in giro dagli amici. E poi Andrea, studente del Liceo «Cavour» di Roma, che si impicca in casa per le continue umiliazioni a cui viene sottoposto per via del suo abbigliamento “un po’ particolare”. Sono solo due dei casi eclatanti che hanno visto la scuola mostrarsi impacciata davanti a comportamenti omofobi intrisi di messaggi offensivi, sbeffeggi, epiteti triviali. Qui sta la parte malata della società. Una malattia vecchia come il mondo tanto da spingere i nostri padri costituenti a sottolineare l’art.3 della Costituzione, credo uno dei più belli dove, tra l’altro si legge: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Di qui l’obbligo morale di rispettare ogni essere umano in quanto persona.

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