Una palestra di coraggio e di speranza

Ridotti i partiti e i movimenti a corpi burocratici di notabili e di aspiranti al ruolo, similmente alle altre rappresentazioni degli interessi corporativi che partecipano alle scelte dell’economia e della politica, le Lettere al giornale sono diventate l’unica palestra rimasta ai cittadini sudmilanesi e lodigiani per tenere in esercizio gli strumenti della critica democratica: segnalare, approvare, censurare, porre domande e attendere risposte, far conoscere posizioni o visione sui problemi, una questione locale o generale. “Il Cittadino” è dei pochi quotidiani che meritoriamente riserva spazio e considerazione a questa esigenza della società civile, senza porre ai contributi dei lettori limiti di estensione ne il politically correct , di modo che essi possono dire tutto quel che hanno da dire o pensano di dover dire su un fatto, una questione, una delibera, una esperienza, una convinzione, una legge, una inerzia; e anche ringraziare o dichiarare una felicità inattesa. Quella che il Cittadino garantisce è una difesa del diritto di parlare. In tempi in cui “Non è democrazia, ma si chiama democrazia” è concetto ricorrente e il silenzio e il quietismo per le questioni sostanziali fa il pari con il baccano e la cagnara, la posta dei lettori è una palestra di coraggio e di speranza. Da lettore rilevo un paradosso: una “offerta” come quella del Cittadino, consiste in una iniezione di democrazia diretta sul corpo sfibrato dei cittadini, ma c’è qualcos’altro che anche timbra l’iniziativa, lo spazio coperto dal “dibattito politico” o dal così detto “confronto politico”. Qui capita, a volte, di incontrare non solo interventi pertinenti ma interventi caciaroni, zeppi di “presenzialismo”, di “propaganda”, di “proselitismo”, quando non di retorica per casalinghe.La retorica politica è l’arte di muovere l’attenzione dell’opinione pubblica in base a problemi mal posti, a pure ipotesi o a dilemmi posticci. Il metodo: mettere davanti agli occhi del lettore argomenti che con la politica autentica hanno poco da vedere, vuoti di realtà, il tentativo di nobilitare le larve (Guido Piovene). Un modo di lasciarsi andare al tono, in cui la politica partigiana prende il posto delle questioni e delle problematiche più complesse. L’esercizio della politica non può essere sempre disputa, intolleranza, terreno di contrasti e di affanni che si esauriscono nella cerchia. Anche sotto i campanili la politica ha una sua parte “nobile” (si può dire?) fatta di consensi o di dissensi, di elaborazione, proposte, obiettivi, interessi comuni, entusiasmo civico, ascolto delle ragioni degli altri, diritti da tutelare, contenuti e scelte da compiere, di libri letti e digeriti. Potrò sbagliarmi, ma non mi pare che queste cose si trovino sempre negli interventi indirizzati al Cittadino. Firmati certamente da persone stimabili per il fatto stesso di dichiararsi, che quando affrontano argomenti legati agli affari pubblici lo fanno però da furbacchioni (o da ingenui?), “prendendo spunto” da decisioni o posizioni che fungono da falso punto di riferimento per abbracciare rappresentazioni omnicomprensive e dare testimonianze esclusive di partito o di interessi. Non è sempre così, ma pur parlando da posizioni diverse sono molti coloro che stanno sulla stessa barca. In politica non c’è nulla di più fastidioso di appellarsi alla “verità” anziché discutere con prudenza o saggezza dei problemi e delle soluzioni da dare. La politica – soprattutto quella territoriale, ricca com’è di problematiche d’ogni genere -, non è fatta di assiomi, bensì di casi difficili, di attese di cose concrete, di informazione. Cito Aristotele, così non faccio torto a nessuno: ”Non si delibera su ciò che avviene sempre allo stesso modo, ma su casi che avvengono per lo più, quello in cui non è chiaro quale sarà la conclusione, e quelli in cui ciò è indeterminato”. Se questo è il contesto non aiutano le tiritere alchemiche, vaghe, nebulose e astratte, come se la politica nelle sue decisioni si facesse guidare da principi immutabili. E’ vero, la politica è “il gioco dei consensi”, e oggi il consenso non avviene sulle cose ma sulla “descrizione delle cose” che hanno preso il posto della realtà. Ma affidare la politica - che è “costruzione” - a spot, alla comunicazione (anche via internet), ai botta e risposta (da “grandi cavalieri del mondo”), non aiuta a dare qualità alla politica , né a favorire il riavvicinamento della gente ad essa.Il terreno delle decisioni è già pieno per sé di incognite e di ingorghi da non doverci aggiungere l’agitazione microbica di chi usa parole per imbruttire e immeschinire. Non v’è dubbio che anche per questa via si fa comunicazione (vedi certi talk televisivi). Ma quello che viene fuori da certe lettere è un modo un po’troppo stravagante o morboso o “gonfiato”, che rivela uno zelo ansioso e allarmato di ricerca del titolo. Da campagna elettorale permanente, appunto.

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