Una lettera a Giorgio Napolitano

Se non verranno ripristinati i Fondi per l’editoria e se questi ultimi non saranno distribuiti con più equità tra giornali “veri” e presenti in edicola, decine e decine di testate rischieranno la chiusura. Un appello indirizzato anche dal direttore del «Cittadino» a Giorgio Napolitano presidente della Repubblica. L’avevamo già scritto, in prima pagina, poche settimane fa. In Italia decine di giornali rischiano la chiusura. Migliaia di posti di lavoro sono in bilico. Eppure questo fatto non fa notizia. Le emittenti nazionali e i grandi quotidiani ignorano il pericolo incombente. L’opinione pubblica, distratta dal vento anticasta, considera ogni tipo di intervento statale insopportabile e da eliminare.Stiamo parlando dei contributi all’editoria, un aggiustamento al mercato dell’informazione introdotto nel nostro ordinamento nel 1981, ma con origini molto più lontane. L’intenzione del legislatore era nobile: si voleva favorire il pluralismo in un settore delicato e decisivo come quello dei mass media. Inoltre, l’agire dello Stato in questo settore diventava un correttivo della distribuzione delle risorse pubblicitarie per lo più orientate verso i maggiori network.Ora, però, tutto questo impianto viene messo in discussione.La gravissima crisi in atto ha ridotto in maniera drastica le risorse a disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri da cui dipende il Dipartimento per l’editoria. Si annuncia un taglio pesantissimo ai fondi per l’editoria: a bilancio è stato inserito solo il 15% della somma dell’anno precedente.Se non si arriverà a un cambiamento di rotta, entro i prossimi mesi decine di giornali chiuderanno i battenti, altri saranno costretti a un drastico ridimensionamento nella foliazione e nel numero dei dipendenti. Tra i giornali che andranno incontro a seri problemi di bilancio ci sono tutte le testate del mondo cattolico, dal quotidiano “Avvenire” ai 190 settimanali diocesani. E c’è “Il Cittadino”.Veniamo da un 2010 terribile che ha costretto numerosi periodici a confrontarsi con l’improvviso aumento delle tariffe postali dal primo aprile dello scorso anno. Tanti hanno chiuso. Molti hanno tremato, pochi hanno retto all’urto imprevisto. Ora un’altra tegola si abbatte su tanti giornali, e noi siamo tra questi.Nessuno desidera che si mantengano privilegi che suonerebbero del tutto stonati. Ci sono quotidiani, in Italia, che hanno solo un paio di dipendenti e non si sa come facciano a campare: ma percepiscono fior di milioni di euro dalla legge sull’editoria. Ci sono quotidiani, estesi su tutto il territorio nazionale, che ogni giorno vendono un numero di copie inferiori a quelle del «Cittadino». Eppure sono ampiamente foraggiati. Ce ne sono altri che non sono presenti neppure in edicola. Eppure ricevono finanziamenti milionari.C’è una parte di Paese che non fa notizia, ma che ogni giorno vive, opera, soffre, si danna l’anima per fornire una prospettiva positiva a un presente quanto mai incerto. A questa parte d’Italia ogni settimana i giornali locali danno voce. Una voce che magari non arriva nei piani alti dei palazzi, ma che accompagna l’esistenza delle borgate, dei paesi di montagna, delle mille città di provincia di cui quasi mai ci si occupa. Togliere l’ossigeno a questi fogli significherebbe mettere il bavaglio al territorio, da sempre un’immensa risorsa per questo nostro Paese. Tra oggi e domani su un centinaio di giornali appare un appello rivolto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. È firmato dai direttori dei giornali che non sono quotati in Borsa, che non hanno padroni potenti, che non hanno partiti politici alle spalle. Non chiediamo la carità. Vogliamo che i contributi per l’editoria siano ripristinati in modo sensato, e soprattutto che siano ripartiti tra i giornali “veri”, quelli che hanno i giornalisti e che sono in edicola. Tutti i giorni.

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