Una Francia che andrà divisa al match finale

Parlano di “nuovo terremoto” (Le Figaro), di “elezione inedita” (Le Monde) e di crisi dei partiti tradizionali – gollisti e socialisti – i giornali francesi che commentano i risultati del primo turno delle presidenziali, svoltesi domenica 23 aprile. Le urne hanno assegnato la prima posizione al centrista, fondatore del movimento En Marche, Emmanuel Macron (23,8% dei suffragi; 8 milioni e 400mila voti), mentre il secondo posto va a Marine Le Pen (21,5%; 7 milioni e mezzo di voti), leader del Front National di estrema destra. Subito dietro, appaiati poco oltre il 19%, il portabandiera gollista François Fillon (Les Republicains), penalizzato dagli scandali e da una ostile e martellante campagna mediatica, e l’esponente di estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon (La France insoumise). Altro sconfitto il socialista Benoit Hamon (6%), che sconta la perdita di credito del suo partito e dell’attuale presidente François Hollande. Dietro, distaccati di molto, gli altri 6 candidati.Elevata, l’affluenza alle urne, con il 78% degli aventi diritto recatisi ai seggi dopo una campagna elettorale tesissima, resa pesante dagli attacchi terroristici e dai toni cupi introdotti soprattutto dalla Le Pen e dagli altri candidati “sovranisti”, sia di destra che di sinistra.Il giovane Macron in vista del ballottaggio del 7 maggio potrà contare sul sostegno di alcuni candidati sconfitti, a partire da Fillon e Hamon, e dai big, vecchi e nuovi, della politica governativa e parlamentare. La Le Pen fa invece appello al “popolo liberato”: sarà, di fatto, lei contro tutti, e il sistema a doppio turno francese certo non l’avvantaggia, come era successo nel 2002 al confronto finale tra suo padre Jean-Marie e il gollista Jacques Chirac.“Non ci sono ‘diverse France’, ce n’è una sola: la Francia, la nostra. La Francia dei patrioti, in seno a un’Europa che eserciti il suo ruolo di protezione e che saremo chiamati a rifondare”, ha detto a caldo Macron davanti ai suoi sostenitori, entusiasti per il primo posto che ha un evidente valore simbolico. Macron sembra incarnare il volto di una Francia che vuole tornare al centro della politica europea ma, al contempo, deve promettere riforme sociali per ottenere i milioni di voti che gli mancano alla vittoria finale. “Voglio essere il presidente di tutti – dice, parlando al cervello dei suoi concittadini –, il presidente dei patrioti di fronte alla minaccia dei nazionalismi”. Per lui tifano anche Bruxelles e molte capitali europee.Marine Le Pen fa invece appello al cuore dei francesi. “Avete ora la scelta della vera alternanza… È arrivato il momento di liberare il popolo francese da élites arroganti che vogliono dirgli cosa fare e come comportarsi. Perché, sì, io sono la candidata del popolo” e “in ballo c’è la sopravvivenza stessa della Francia”.Al ballottaggio del 7 maggio finiscono dunque il più europeista e la meno europeista. La Francia si risveglia con un sistema dei partiti sfrangiato: gollisti e socialisti, tradizionali “padroni” dell’Eliseo e del governo, finiscono per ora in archivio. Nei giorni che porteranno al ballottaggio si potrà vedere di tutto (scivoloni politici dei candidati, diffusione di dossier carichi di fango, interessate convergenze elettorali) e si dovrà temere il terrorismo. E poi occorrerà subito guardare alle legislative di giugno, perché il Paese si governa anche disponendo di una maggioranza parlamentare solida e coesa, che al momento non si intravvede.Intanto l’Europa scruta la Francia: un voto capace di avere riflessi sulle elezioni nel Regno Unito a giugno e, più ancora, in Germania a settembre, e di pesare sulla politica europea e persino su quella italiana.

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