Una festa dell’Italia disunita

di Corrado Sancilio, preside dell’Istituto “Agostino Bassi” di Lodi

Con tutti i problemi che assillano la scuola, ci mancava solo la polemica sulla chiusura o meno delle scuole il prossimo 17 marzo, giornata di Festa Nazionale per i 150 anni dalla nascita dell’Unità d’Italia. E in effetti la data è storica. In quel fatidico giorno del 1861 nasce il Regno d’Italia e Vittorio Emanuele II^ viene proclamato Re d’Italia. Una data, quindi, che non può essere ricordata come un semplice anniversario, ma come un avvenimento di notevole rilevanza che deve andare oltre la memoria fatta di segni celebrativi. Eppure man mano che ci avviciniamo alla data del 17 marzo, quello che sembrava dovesse essere un avvenimento memorabile si sta trasformando, in realtà, in un’ulteriore occasione di divisioni. Tanti sono i distinguo. Ci sono quelli che sentono di vivere la festa con una certa sofferenza; poi ci sono quelli che la vogliono vivere lavorando; poi vengono quelli che la contestano apertamente; poi ci sono i soliti festaioli che la vedono come un’opportunità per vivere al meglio un ponte lungo quattro giorni. Soffre, ad esempio, il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, quando precisa che «l’unità è stata una iattura per il sud che è stato spogliato, depauperato e saccheggiato». Fuori dalle righe è andato, invece, il governatore della provincia autonoma di Bolzano, Luis Durnwalder, secondo il quale «il gruppo linguistico tedesco non ha nulla da festeggiare. Nel 1861 l’Alto Adige non faceva parte dell’Italia e nel 1919 non ci è stato chiesto se volevamo far parte dell’Italia». Divisi i sindacati sulla proposta della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, secondo la quale in un momento di crisi produttiva non si possono chiedere altri sacrifici alle imprese produttive. Ergo si può festeggiare, lavorando. E la scuola? Una babele. Da una parte i presidi della DISAL favorevoli a tenere le scuole aperte con studenti e professori impegnati in significative iniziative in memoria dello storico avvenimento. Una tale posizione eviterebbe di creare un’ulteriore occasione di ponti festivi. Ci sono, infatti, segnali di agenzie pronte a fare promozioni di pacchetti turistici per il «Ponte dell’Unità d’Italia». Di diverso avviso è l’Associazione Nazionale Presidi favorevole, invece, alla chiusura delle scuole onde consentire a studenti e famiglie una concreta riflessione sul significato storico, sociale e politico del Risorgimento. Divise le Regioni. Scuole chiuse in Sicilia, aperte in Alto Adige, chiuse nel Lazio, aperte in Campania, chiuse in Basilicata, aperte in Puglia, orientate a chiuderle in Umbria, orientate a tenerle aperte in Friuli Venezia Giulia. Non c’è che dire, è proprio la festa dell’Unità d’Italia. Da parte sua il Ministro Gelmini ha fatto sapere che la ricorrenza potrebbe trovare una sua naturale riflessione nelle classi senza con questo interrompere le lezioni. E intanto aspettiamo la decisione che prenderà il Consiglio dei Ministri. Personalmente sono dell’avviso che il significato del 17 marzo può essere benissimo ricordato senza interrompere le lezioni. Anzi. Visto che i ragazzi molto spesso le feste se le procurano di sana pianta (e in questo sono altamente creativi), il rischio relativo all’introduzione di un nuovo giorno festivo potrebbe portare a legittimare una certa richiesta, ovvero di rivedere il calendario scolastico per vivere allegramente un bel lungo ponte, con buona pace di chi crede di vederli impegnati a casa o sulle panchine prostrati a parlare di Cavour e Garibaldi, della «Giovane Italia» di Mazzini o del «Rinnovamento civile d’Italia» di Gioberti. Stiamo tutti attenti. Le polemiche in atto oltre a essere elemento di divisione, rischiano di scalfire, agli occhi dei ragazzi, non solo il significato, la storia, l’opera delle grandi figure del Risorgimento, ma anche le grandi figure letterarie del nostro Romanticismo come Leopardi, Manzoni, Verdi, Cattaneo, Berchet, Romagnosi tanto per citarne alcuni. E’ proprio vero. Un quadro così caotico non fa che rafforzare in molti la convinzione che da noi si fa fatica a trovare un equilibrio prevalentemente culturale in grado di mettere tutti d’accordo. Che si tratti di un grande evento o di un piccolo evento, l’esito sembra quasi scontato. Un esito il cui ritmo è scandito da un interminabile confronto già ben noto sin dall’antica Roma. E’ Tito Livio a ricordarci con il suo «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur» che letteralmente sta per «mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata». Ed è così che mentre si continua a discutere se festeggiare o meno la data del 17 marzo, l’Unità d’Italia si va a impantanare in un mare di polemiche, rischiando di perdere di significato. Eppure altrove anche per molto meno, come il rispetto del divieto di copiare un compito, ad esempio, si impone una comune soluzione. Ho recentemente letto degli studenti della Pennsylvania che al momento dell’iscrizione giurano su un codice d’onore che disciplina il divieto di copiare i compiti. Un’incauta copiatura, infatti, può determinare conseguenze anche irreparabili. Lo studente pescato a copiare, viene sottoposto a un regolare processo davanti a un tribunale di studenti. La condanna è insindacabile. Un sistema accolto da tutti senza remore. Senza se e senza ma. La violazione di questo regolamento, può portare all’espulsione dalla scuola. E tutti si attengono al rispetto di questo codice. Da noi chi riesce a copiare diventa un mito. L’azione stessa del copiare è motivo di orgoglio e di ostentazione per chi dimostra di essere riuscito a farla franca, ad aggirare i controlli se mai siano stati leali. Non c’è che dire. Sono culture diverse che forse aiutano a spiegare la durezza di un dibattito in atto attorno alla convenienza o meno di istituire una festa piuttosto che approfondire il significato della festa. Avrei visto volentieri sfilare gli studenti per le vie orgogliosi nel difendere i valori del Risorgimento, pretendendo dibattiti, approfondimenti, relazioni, sulle condizioni economico-sociali, politiche, culturali che hanno contribuito alla nascita dell’Italia. In questo caso la protesta studentesca avrebbe avuto un diverso significato. E invece ancora una volta siamo chiamati in causa per spiegare ai ragazzi il perchè di tante discordanze. Per fortuna che i prossimi festeggiamenti ci saranno fra 150 anni.

di Corrado Sancilio, preside dell’Istituto “Agostino Bassi” di Lodi

© RIPRODUZIONE RISERVATA