Una famiglia di 4 persone “ostaggio” del coronavirus

Il racconto in arrivo da Sant’Angelo

«Questa è la triste storia di una famiglia qualunque, incappata nei ritardi del sistema sanitario di Regione Lombardia, che questa pandemia ha provocato». Mariachiara, moglie e madre di due figli di 11 e 14 anni, di Sant’Angelo Lodigiano chiude così il suo racconto sul Covid sbarcato in famiglia, per «denunciare il meccanismo di gestione della pandemia che, purtroppo, a mio avviso, ha moltissime lacune». La storia inizia il 21 ottobre quando il marito, al rientro dal lavoro, inizia ad accusare sintomi influenzali. L’uomo si isola in mansarda, la famiglia contatta il medico di base e il giorno dopo si reca all’ospedale di Lodi per il primo tampone a pagamento e il 25 ottobre arriva l’esito positivo. «Viene attuato quindi il protocollo Covid, la sua attività chiusa e tutte le dipendenti in quarantena preventiva, lo stesso giorno - aggiunge la donna - inizio io ad avere la febbre, dolori articolari, mal di testa. Sotto consiglio del medico, decidiamo di attuare tutti i protocolli di distanziamento e di portare le mascherine per intere giornate». Il 26 ottobre la donna viene segnalata come contatto di un positivo e sintomatica, in attesa di tampone. «Ho passato intere giornate al telefono, cercando di parlare con Ats, ho tempestato di chiamate il mio medico, che ci è stato vicino, e le uniche risposte che ho ricevuto sono state “proveremo a sollecitare” - aggiunge la donna - : passano infiniti giorni e nel frattempo sia io sia mio marito ci riprendiamo completamente». Il tampone viene fissato l’11 novembre, «a domicilio, a 17 giorni di distanza dalla mia segnalazione, e 24 ore dopo ho l’esito positivo, che dà il via di nuovo alla quarantena mia e dei miei familiari. Per ottenere il tampone di controllo, il 23 novembre, ho dovuto però mandare altre mail perentorie. E se dovesse essere negativo, per i bambini saranno necessari altri 10 di isolamento o un tampone prima, anche in assenza di sintomi, per tornare a scuola». In tutto questo, però, «nessuno ci ha chiamato per sapere come stavamo o se avevamo bisogno di qualcosa. Noi avevamo i nonni per la spesa, ma tantissime famiglie in questa situazione non hanno nessuno. Se il nostro pensiero va ai sanitari in prima linea, la nostra solidarietà va anche a tutti coloro che affrontano questo brutto virus a casa come noi. Bisogna avere forza e non farsi prendere dalla paura».n 
Ross. Mung.

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