Un reporter di Lodi sotto le bombe nel Nagorno

Daniele Bellocchio, 31enne giornalista con esperienze nei luoghi più caldi del pianeta, è a Stepanakert, testimone del conflitto tra Armenia e Azerbaijan

«I bombardamenti sono incessanti, la gente non esce più nelle strade ma vive sottoterra, nei rifugi, come se la terra avesse imposto un paradosso: sotto il cielo si muore, sottoterra si rimane aggrappati alla vita». Così inizia il racconto di Daniele Bellocchio, intervistato mercoledì sera dal Tg1. Il giornalista freelance lodigiano è infatti in prima linea, testimone della guerra nel Nagorno Karabakh, territorio conteso da decenni tra Armenia e Azerbaijan. L’annoso conflitto nel Caucaso è riesploso due settimane fa, e Bellocchio è uno dei pochi giornalisti italiani sul posto, nella capitale Stepanakert bombardata dagli azeri: «Ero già stato in questi luoghi nel 2016, e quando ho saputo dei primi episodi di tensione, grazie ai contatti che avevo sono tornato qui – racconta Daniele, intercettato ieri dal Cittadino durante uno dei brevi istanti di tregua concessi dai bombardamenti -. In luglio c’erano state già alcune avvisaglie sulla frontiera, ma anche gli analisti con cui ho parlato confermano che era inimmaginabile arrivare a questo punto, arrivare ai bombardamenti di Stepanakert»

Sulla città e il circondario i razzi cadono di continuo: «Si va a intermittenza: prima solo di notte, ora anche di giorno. Lasciano brevi pause e poi ricominciano: certe volte su obiettivi militari, ma altre volte su case e strade. Oggi ero in una città qui vicino, a Shushi, dove è stata colpita una chiesa mezz’ora dopo che ero passato io. È imprevedibile».

Nelle immagini del telegiornale, infatti, Daniele appare sicuramente stanco, con la barba lunga e il cartellino “Press” al collo, seduto in un rifugio accanto a un giubbotto antiproiettile: «Dormiamo con la finestra aperta per sentire eventuali droni, con il giubbotto antiproiettile e l’elmetto sul comodino. In caso di pericolo, corriamo nella cantina della casa in cui siamo. Anche quando siamo in giro, se sentiamo le sirene scappiamo nei rifugi. Cerchiamo insomma di lavorare con prudenza, per quanto possibile».

D’altronde, ormai per strada non si vede praticamente nessuno: «Mezza città è fuggita: grandi carovane di sfollati scappano, e chi resta non si arrischia ad uscire, ma si nasconde in casa per paura dei razzi e delle cluster-bombs. Ad ogni bombardamento, mi ha detto un medico, all’ospedale arrivano un centinaio di feriti colpiti dalle schegge».

Bellocchio ha raccontato la situazione su diverse testate: la sua esperienza di giornalista nei luoghi più caldi del pianeta ha affinato il suo sguardo rendendolo un testimone affidabile e competente. «Qui è difficile capire come si evolveranno le cose, il rischio è quello di una escalation in cui le prime vittime saranno i civili. Noi seguiremo gli sviluppi sperando che Stepanakert non si trasformi nella Sarajevo degli anni Novanta».

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