Un popolo in fuga dall’Africa

di Giancarlo Perego, direttore generale Migrantes

Gli sbarchi sulle coste della Sicilia, ma anche gli arrivi in altri porti e aeroporti italiani, in questi giorni ci mostrano i volti, con anche le prime vittime, della rivoluzione nordafricana. Sono giovani e adulti, donne e bambini che arrivano a decine e a centinaia, a tutte le ore del giorno e della notte. Oggi arrivano soprattutto dalla Tunisia, ma si aspettano persone e famiglie dall’Egitto e dall’Algeria, due fronti di una crisi pesante nata dalla povertà, dalla corruzione, dalla caduta della democrazia. Lampedusa, paese della frontiera italiana ed europea del Sud, è diventato il luogo simbolo di un popolo in fuga, della rabbia della povera gente africana. Lampedusa è oggi il “limes”, la strada al confine che collega Europa e Africa, attraverso il Mediterraneo. Un confine che chiede una nuova strada, un “canale umanitario” che non abbandoni le persone in cammino alle onde del Mediterraneo e ai trafficanti di persone.

Il popolo in fuga dalle regioni e dai Paesi del Nord Africa chiede una strada nuova, che li sappia accompagnare a una protezione umanitaria, nelle sue diverse forme: asilo, protezione temporanea, protezione sussidiaria.

La riapertura del Centro di accoglienza di Lampedusa, la dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria sono i due segni che annunciano una voglia di ospitalità del nostro Paese, che deve allargarsi in una rete nazionale di accoglienza strutturata, con percorsi di incontro, di tutela, di formazione, con l’attenzione all’autonomia.

La storia di dieci anni di Pna (Piano nazionale asilo) e di Sprar, cioè i servizi di protezione ai richiedenti asilo e rifugiati, hanno abilitato decine degli ottomila Comuni italiani e il mondo del volontariato ad accogliere i rifugiati e i profughi – quasi 100.000 – e a pensare la città non senza dimenticare chi arriva da Paesi in guerra, in crisi ambientali e sociali: una storia bella italiana che insegna a tutte le città e ai paesi il valore dell’accoglienza di chi è profugo, rifugiato e in fuga.

Così pure le altre pagine precedenti dell’accoglienza dei profughi del Vietnam e della Cambogia, dell’Albania, della Bosnia, del Kosovo hanno abilitato le nostre parrocchie, il mondo dell’associazionismo e della cooperazione, persone e famiglie nelle nostre comunità a leggere la storia di oggi nei suoi veri volti e contesti: 22 guerre in atto, disastri ambientali di cui sono anche colpevoli le strutture forti delle nostre democrazie, il miliardo di persone che muore di fame, il miliardo e 400 milioni di persone che hanno sete.

Le persone e le famiglie che stanno arrivando dalla Tunisia, dall’Egitto e forse presto dall’Algeria spesso vogliono ricongiungersi in Italia e in Europa con i propri familiari, parenti, amici. In Italia in vent’anni sono arrivate dalla Tunisia oltre 100.000 persone, che lavorano, studiano, fanno impresa. In alcune città del Sud – come Mazara del Vallo – questa storia di relazione è antica, abituale e strutturata. Dall’Egitto sono giunte in Italia oltre 80.000 persone, che spesso incontriamo nelle cucine e sale dei ristoranti, nell’artigianato e nel commercio. Venute dall’Algeria sono tra noi oltre 20.000 persone, nelle famiglie, con le più diverse professionalità. C’è già un popolo del Nord Africa tra noi, nelle nostre città.

È un popolo discreto che oggi chiede anche la possibilità di aiutare familiari, parenti e amici a non vivere drammaticamente in un Paese allo stremo. Forse questo chiede un supplemento di regolamentazione regolare di flussi d’ingresso in Italia e in Europa, una condivisione dei fenomeni migratori nella politica europea, una cooperazione che si gioca non solo nei Paesi in crisi, ma anche nelle nostre comunità, aprendo le case, le scuole, le città all’arrivo di persone e famiglie.

L’esodo nuovo di popolazioni dall’Africa, mai concluso in quasi cinquant’anni, con i cammini prima dal Corno d’Africa, poi dai Paesi dei Grandi laghi e dell’Africa centrale, e oggi dai nostri fratelli del Nord Africa, forse diventa un’occasione nuova per educarci a considerare il mondo – come ci aveva ricordato Benedetto XVI nella Giornata mondiale delle migrazioni di quest’anno – la nostra famiglia, una sola famiglia umana.

di Giancarlo Perego, direttore generale Migrantes

© RIPRODUZIONE RISERVATA