Un gioco che si fa troppo pericoloso

È proprio vero. Il gioco è l’espressione della cultura umana ed è sempre figlio del suo tempo. Un tempo si giocava a «cavallina», e in televisione spopolavano le avventure di «Lessie e Rin Tin Tin». Ora si gioca a fare i terroristi e in televisione prendono spazio le macabre immagini degli uomini in nero dell’Isis. Un tempo si giocava per strada, oggi si gioca a scuola. E’ successo nella palestra dell’Istituto Comprensivo Statale di Piove di Sacco in provincia di Padova dove cinque alunni giocano a fare i terroristi. Uno dei ragazzini, incappucciato, simula la decapitazione di un compagno, in ginocchio, con un coltello in gola. La scena, curata nei minimi dettagli, viene ripresa con uno smartphone e inserita nei social network. In men che non si dica le immagini fanno il giro del web per diventare di dominio pubblico. Finisce anche sul cellulare della preside che, sentito il consiglio di classe, prende una decisione: tutti e cinque i ragazzi vengono sospesi per tre giorni. Al loro rientro li attende uno psicologo. L’opinione pubblica, naturalmente, si divide. Se da alcuni vengono compresi senza per questo essere giustificati, da altri vengono condannati senza appello. Per qualcuno si è fatto bene a sospenderli, per qualche altro, essendo chiaramente una bravata, più che di sospensione si doveva puntare a un percorso educativo. Nella rete si scatena il confronto, a tratti duro, tra tolleranti e intransigenti. Per la preside è una bravata, confortata in questo dall’appoggio dei genitori, per tanti altri è un brutto gesto, volgare, sconsiderato, sia pure oggetto di emulazione. Personalmente sono del parere che questi ragazzi hanno sbagliato, ma non bisogna farne dei mostri da sbattere in prima pagina. Esporli a un pubblico ludibrio sarebbe come aggiungere errore ad errore. La scuola non deve cadere in questo tranello. Bene la sospensione perché comunque un segnale deve essere dato sia ai ragazzi che alle famiglie, ma il processo punitivo deve essere necessariamente accompagnato da un deciso percorso educativo. Una comune riflessione deve aiutare i ragazzi a capire il significato, il peso gestuale della cosiddetta «bravata». Stiamo parlando dei soliti bravi ragazzini, di famiglie per bene, ben inseriti nella propria classe e con buon profitto nello studio. La loro giovanissima età li ha spinti a trovare nell’emulazione la ragione di un gioco che non ha nulla di fantastico, né di creativo. Un gioco di ruolo, troppo di ruolo, a tal punto da rivolgere il loro interesse verso la figura di adulti assassini, autori di atti macabri e criminali espressione della più bieca barbarie che l’intera società ha condannato. Non può essere giustificazione alcuna per questo «stupido gioco» che è decisamente sfuggito di mano. Né può venire in loro aiuto nemmeno il concetto di goliardata. Simulare una decapitazione non ha nulla di divertente, né di goliardata, né di bravata. E’ semplicemente emulare un atto violento. Siamo di fronte a dei tredicenni che di buono hanno solo il disinvolto utilizzo dei mezzi tecnologici a loro disposizione. Ed è soprattutto su questo aspetto che vorrei soffermarmi maggiormente. Evidentemente il valore che essi danno alle proprie abilità digitali è diverso da quello che ne danno gli adulti. Ai ragazzi sfugge un particolare che agli adulti, invece, è chiaro. Il mondo globalizzato consente di mandare in giro per il mondo immagini e messaggi senza che alcuna barriera lo possa impedire. Telefonini, tablet e smartphone ne sono i mezzi a tale scopo indicati. Le cosiddette bravate non sono più da considerare occasioni di eventi circoscritti alla classe o al proprio territorio, ma diventano, grazie alla tecnologia pari a una cassa di risonanza, un’opportunità che fa del ragazzo una sorta di opinion leader a livello internazionale. A questo punto è facile immaginare quali possano essere le conseguenze. Allora più che ragionare sulle punizioni da comminare ai ragazzi autori di simili comportamenti, ma che pure meritano, il discorso si fa più difficile poiché dobbiamo educare questi ragazzi al corretto utilizzo degli strumenti tecnologici messi a loro disposizione. Compito alquanto arduo, ma non impossibile. Una parte di responsabilità è da ricercare nelle famiglie. I genitori non possono disinteressarsi su ciò che fanno i figli con i loro telefonini. Non possono assumere un atteggiamento critico e talvolta di sfida nei confronti della scuola chiamata a far rispettare i regolamenti che vietano l’utilizzo di smartphone inopportunamente utilizzati durante le lezioni. Non si possono usare due pesi e due misure. A casa viene messa in atto la strategia del controllo amicale, mentre a scuola in nome del «laissez faire, laissez passer» (lasciate fare, lasciate passare) il controllo viene censurato. Ma questa è la miglior gioventù e con questa dobbiamo fare i conti. Una gioventù che sta crescendo circondata da un vuoto assoluto all’ombra dei soldi in tasca, delle firme dalla testa ai piedi e degli spinelli in bocca. La conseguenza è che ogni valore morale è affidato agli smartphone, ai selfie, ai filmati da mandare in rete, il tutto sotto gli sguardi assenti dei genitori perché lontani dalla quotidianità dei figli. Tanti genitori per scelta o per necessità sono lontani dai problemi dei figli. Non sanno o non vogliono sapere cosa fanno i figli nei bagni della scuola, cosa fanno durante il tragitto casa scuola e viceversa, cosa fanno durante le nottate trascorse in compagnia di coetanei. In tutto questo preferiscono semplicemente non essere coinvolti. E se disgraziatamente coinvolti ogni decisione è rimandata ad altro tempo quando tutto passerà, perché sicuramente passerà. E’ solo questione di tempo, di problemi legati all’adolescenza, alle amicizie, alla crescita. Col tempo diventeranno adulti e allora il problema non si porrà più nelle medesime preoccupanti condizioni che si era posto nel passato. Il passato è passato e non preoccupa più. Una volta adulti non si gioca più a fare il terrorista. Una volta adulto qualcuno fa il terrorista. Intanto è di questi giorni una bella notizia. Il d.g. della Rai, Luigi Gubitosi, nel corso dell’audizione in Commissione Parlamentare per i diritti e doveri relativi a internet, ha fatto, tra l’altro, questa affermazione: «Niente più video portati su internet dall’Isis». Era ora!

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