Un futuro senza ordinazioni sacerdotali?

“Sei prete, dici la Messa, da qui avanti sei dunque più vicino a Gesù. Ricordati però che cominciare a dir Messa, vuol dire cominciare a soffrire”. Così, con la sapientia cordis dei santi, mamma Margherita a don Bosco nel giorno della prima Messa del figlio. “Dire Messa” non è una cerimonia. “Fate questo in memoria di me” significa rendere presente nel rito e nel segno del pane e del vino la morte del Signore, cioè l’amore con il quale Egli ci ha amati sino alla fine. Amare di più è impossibile. “L’amore di Dio non ha limiti. Come ripeteva spesso sant’Agostino, è un amore che va fino alla fine senza fine. Il Mistero che adoriamo in questa Settimana Santa è una grande storia d’amore che non conosce ostacoli”. Sono le parole di Papa Francesco all’udienza generale di ieri sul Triduo Pasquale nel Giubileo della misericordia. Il “questo” da fare nella Messa è dunque rendere presente, qui e ora, l’amore senza fine. E amare a nostra volta dello stesso amore: ecco la lavanda dei piedi. Dire Messa significa quindi essere amati ed amare dell’amore di Gesù. Questa è la grazia che riviviamo oggi, Giovedì Santo, giorno dell’Eucaristia, del sacerdozio, del comandamento dell’amore. Stamattina noi sacerdoti, tutti nati in questo giorno, dopo aver varcato la Porta della Misericordia, ci stringeremo come un corpo solo con il Vescovo Maurizio attorno all’altare per rinnovare la consapevolezza del dono ricevuto. Un dono senza limiti, di valore infinito. Diceva, meglio, sospirava il Santo Curato d’Ars: “Non c’è niente di più grande dell’Eucaristia”. E poi: “Quanto è grande il sacerdote! Non lo si capirà bene che in Cielo. Se egli si comprendesse, morirebbe, non di spavento ma di amore!”. Non si tratta di grandezza da misurare secondo parametri umani. “La mia persona conta niente”, può dire in verità ognuno di noi con le parole di San Giovanni XXIII nel famosissimo discorso dell’11 ottobre 1962, quello della carezza del Papa da portare a casa ai bambini. Il Vescovo emerito Giacomo, che pure oggi sarà con noi insieme al Vescovo emerito Giuseppe, ci ricorderebbe che gli orgogliosi diventano subito antipatici e presto ridicoli. È l’amore di Dio che è grande, e rende grandi noi suoi ministri. L’intima gioia di questo giorno dell’Eucaristia e del Sacerdozio purtroppo è velata dalla mestizia che non potremo non avere nel mese di giugno per la mancanza di preti novelli. E nel futuro prossimo il 2016 non sarà, ahinoi, l’unico anno senza ordinazioni sacerdotali. Perché? Se Dio continua a chiamare, e dunque le vocazioni non mancano, che cosa impedisce le risposte? Che cosa noi sacerdoti, anzitutto, non abbiamo fatto e non stiamo facendo? Cosa manca al nostro amore? Cosa manca alla nostra gioia? La risposta alla domanda è troppo urgente per poter non essere data oggi stesso. Ce la suggerisca l’amore senza limiti del Signore, in questo Giovedì Santo di grazia.

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