Un atto di giustizia. Ad alta voce

Il Decreto Legge “Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria”, n. 146 del 23 dicembre 2013, è entrato in vigore il 24 dicembre, a una settimana esatta dall’approvazione in Consiglio dei Ministri.Un dono di Natale? No, un atto di giustizia e un secondo provvedimento per riportare alla legalità le carceri italiane, dopo la conversione in legge, n. 94 del 9 agosto 2013, delle “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”.Un atto di giustizia per due ragioni: la prima riguarda il sovraffollamento carcerario, che decreta lo stato di illegalità (un paradosso!) per i penitenziari italiani. Una situazione nei fatti ancora più grave di quanto noto finora (come denuncia l’associazione Antigone nel decimo voceRapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, presentato il 19 dicembre) poiché 66.028 persone detenute (fonte DAP al 30.06.2013) sono ben più che ristrette non nei 47.649 posti “regolamentari”, bensì nei circa 37.000 effettivamente disponibili, per ammissione dello stesso Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. La seconda ragione riguarda invece l’avvicinarsi inesorabile della scadenza del 28 maggio 2014, termine ultimo concesso al nostro paese dalla Corte Europea per i diritti umani per adeguare le patrie galere a standard degni di una nazione civile. Vi è poi una terza ragione: il sovraffollamento ormai endemico (134%, secondo la stima di Antigone 173%), la recidiva altissima per chi sconta la pena senza usufruire di misure alternative (soltanto il 42,9% delle persone ristrette è alla prima carcerazione), il ricorso abnorme alla custodia cautelare (il 37,4% della popolazione detenuta è in attesa di giudizio) determinano costi insostenibili e ingiustificabili sotto il profilo economico, sociale e soprattutto umano, come da tempo denunciano il Presidente della Repubblica, i Radicali, le associazioni e i singoli che hanno a cuore la libertà di tutti. Come recita il comunicato della Presidenza del Consiglio del 17 dicembre, «restituire alle persone detenute la possibilità di un effettivo esercizio dei diritti fondamentali» è la finalità prima della nuova norma, evidentemente «nel rispetto delle fondamentali istanze di sicurezza della collettività».Il Decreto Legge non è neppure un provvedimento di clemenza, ma un insieme organico di dispositivi con «l’obiettivo di diminuire, in maniera selettiva e non indiscriminata, il numero delle persone ristrette in carcere»; tale obiettivo «viene perseguito attraverso misure dirette a incidere sia sui flussi in ingresso negli istituti di pena […], sia su quelli in uscita dal circuito penitenziario».Riguardo ai primi, è noto che moltissimi (38,4% del totale) sono i detenuti per violazione dell’articolo 73 del Testo Unico in materia di stupefacenti: introducendo l’ipotesi di “piccolo spaccio”, ovvero di reato valutabile di lieve entità per «la qualità e la quantità delle sostanze», è ora possibile per i “piccoli spacciatori” - quasi sempre tossicodipendenti - una riduzione di pena (da sei a cinque anni) e una procedura più agevole di affidamento terapeutico. Per inciso, il concetto di “modica quantità” fu cancellato dalla giurisprudenza con l’approvazione della Legge 49/2006, cosiddetta “Fini-Giovanardi”.Riguardo ai flussi in uscita, si amplia l’istituto dell’esecuzione della pena presso il domicilio e la possibilità di accesso all’affidamento in prova al servizio sociale (ora esteso a quanti devono scontare non più tre ma quattro anni di pena, anche residua); si amplia inoltre a 75 giorni (da 45, 60 a regime) per ciascun semestre la riduzione per la liberazione anticipata, per l’arco di tempo compreso tra il 1 gennaio 2010 e il 31 dicembre 2015.La misura non è automatica: sarà diluita nel tempo e sottoposta alla rivalutazione del giudice, chiamato a verificare il comportamento corretto delle persone ristrette; per i reati più gravi sarà richiesta una motivazione rafforzata.Il Decreto Legge presenta novità anche per i detenuti stranieri, in attesa di una ulteriore, necessaria revisione della Legge 189/2002, cosiddetta “Bossi–Fini”: è infatti anticipata la procedura di identificazione, «funzionale anche a evitare il frequente transito dal carcere ai CIE», mediante un più efficace coordinamento dei vari organi coinvolti nell’iter procedurale (Ministero dell’Interno, Ministero della Giustizia e Consolati stranieri).Infine, è istituita la figura del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale; sono attribuite maggiori competenze al Magistrato di Sorveglianza, per garantire a detenuti e internati la tutela dei loro diritti; sono previsti interventi per facilitare il recupero del credito e, per esaurire la mole di arretrati giudiziari, la cosiddetta sentenza breve (sinteticamente motivata) e l’affidamento a un giudice monocratico e non collegiale delle cause iscritte a ruolo (ovvero dei processi pendenti) da oltre tre anni.«Amnistia, giustizia, libertà»: queste le parole d’ordine della Marcia di Natale promossa dai Radicali. La clemenza è ora quanto mai necessaria e opportuna. Nel 2014 ricorre il 250° anniversario della pubblicazione di un “libriccino” stampato anonimo a Livorno (per evitare i rigori della censura austriaca), nel 1764: Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. L’illuminista milanese teorizza una riforma globale del sistema penale, che tuteli i cittadini, tutti i cittadini: questi hanno infatti diritto di essere difesi dalle aggressioni, ma anche diritto di essere considerati innocenti sino a che il loro delitto non venga inconfutabilmente dimostrato; e qualora siano riconosciuti colpevoli, hanno diritto a una pena equa e proporzionata al delitto commesso; non possono né devono essere sottoposti a tortura e tanto meno a morte.«La voce di un filosofo è troppo debole contro i tumulti e le grida di tanti che son guidati dalla cieca consuetudine – scrive il grande Beccaria - ma i pochi saggi che sono sparsi sulla faccia della terra mi faranno eco nell’intimo de’ loro cuori». Non nell’intimo dei cuori, non è più tempo. Ad alta voce.

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