Troppi giovani fuori gioco, triste primato

Il fenomeno della dispersione è una vera piaga non solo della nostra scuola, ma dei sistemi formativi sul piano europeo e mondiale. La dispersione non s’identifica semplicemente con l’abbandono scolastico, ma può essere definita come un insieme di fattori che modificano il regolare svolgimento del percorso di studi di un ragazzo fino a determinarne un’uscita anticipata dal sistema scolastico. In una recente audizione alla VII Commissione della Camera è stato presentato un dossier della rivista Tuttoscuola secondo il quale “negli ultimi 15 anni quasi 3 milioni di giovani italiani, il 31,9% di coloro che dopo la terza media si sono iscritti a una scuola secondaria superiore statale, non hanno terminato gli studi con il conseguimento del relativo diploma”. Invece il 27,9% (cioè più di un quarto) di quelli che hanno iniziato un percorso di studi secondari nella scuola statale cinque anni fa (a.s. 2009-10) non lo ha completato. Negli ultimi anni, in verità, c’è stato un miglioramento sul fronte della dispersione, annota sempre Tuttoscuola, tuttavia la sostanza non è cambiata e la scuola italiana, nelle comparazioni internazionali, e in particolare europee, “continua a occupare una posizione di bassa classifica a causa dell’elevata percentuale di giovani di 15-29 anni in possesso del solo titolo di licenza media”.L’elevato tasso di dispersione scolastica va ad inserirsi in un contesto che vede l’Italia “primeggiare” in negativo e riguarda la quota di Neet (Not in education, employment or training), ovvero dei giovani tra i 15 e i 29 anni non più inseriti in un percorso scolastico o formativo ma neppure impegnati in un’attività lavorativa. La quota italiana è, infatti, molto superiore a quella della media europea (23,9 e 15,4% rispettivamente), con punte superiori al 37,7% in Sicilia (addirittura 39,8% per le ragazze). Sempre il rapporto di Tuttoscuola segnala che “molti di quei quasi 3 milioni di ragazzi dispersi negli ultimi 15 anni sono diventati Neet. Non sarebbero così numerosi se almeno una parte di loro avesse continuato a studiare o a seguire corsi di formazione professionale, come avviene in altri Paesi (in Germania i Neet sono il 9,7%, in Francia 14,5% e nel Regno Unito il 15,5%)”.Insomma, siamo di fronte a un’emergenza non nuova - se ne parla, infatti, da tempo e a più riprese - ma continuamente rinnovata, poiché non sembrano del tutto efficaci le politiche seguite fino ad oggi per contrastarla.Che fare? Gli esperti suggeriscono piani di studio più flessibili e personalizzati. Caldeggiano i percorsi di alternanza scuola-lavoro, così come corsi di sostegno e attività scolastiche al pomeriggio, oltre a un ripensamento sui temi della valutazione in ordine a promozioni e bocciature. Molto già si fa e vale la pena di proseguire sulla strada avviata.Tuttavia, al di là della questione “tecnica”, pare di capire che ciò che potrebbe segnare la svolta è una comprensione rinnovata del sistema scuola, con una positiva ricaduta sociale e nell’immaginario pubblico. In sostanza: rimettere davvero la scuola al centro delle attenzioni del Paese, sottolinearne il ruolo strategico, l’importanza educativa e di sostegno per l’opera delle famiglie. Questo può diventare decisivo per aumentarne l’attrattiva nei confronti dei più giovani. Non un parcheggio, non un percorso “costretto”, ma una vera strada ricca di opportunità e risorse. Rilanciare la scuola: questo serve.

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