Tra un anno Europa sì, Europa no...

Tra un anno i cittadini dei 28 Stati membri dell’Unione europea saranno chiamati alle urne per rieleggere un nuovo parlamento europeo. Possiamo scommettere che per la prima volta dal 1994 più del 50% degli elettori europei andranno alle urne, dal momento che la crisi finanziaria e la crisi della zona euro hanno catapultato i temi europei in cima alle informazioni accessibili attraverso i mass media. Questa è una buona notizia, ma implica anche la possibilità di una maggiore polarizzazione o addirittura di una radicalizzazione del dibattito. I cristiani e le Chiese dovrebbero quindi cercare di influenzare la campagna elettorale concentrandosi su due direzioni principali.La prima impronta cristiana da offrire nel dibattito pubblico è un ottimismo che si rifiuta di dipingere tutto nero.Di fatto, rispetto alla gestione della crisi della zona euro, l’ottimismo è appropriato pur dovendo lamentare una lentezza nelle decisioni adottate dalle istituzioni europee dopo l’inizio della crisi nell’ottobre 2009. Il Parlamento, la Commissione, il Consiglio, vale a dire le istituzioni europee sono state in grado di reagire, sotto la guida dei capi di Stato e di governo riuniti in sede di Consiglio europeo. La riforma del Patto di stabilità e crescita, la creazione del meccanismo europeo di stabilità per aiutare gli stati dell’eurozona in difficoltà e il patto fiscale sono stati passi importanti verso una unione fiscale. La riforma del settore bancario con il Bonus Cap, l’istituzione di una vigilanza bancaria europea e i negoziati in corso per l’armonizzazione delle procedure in caso di ristrutturazione del settore bancario rappresentano altrettanti passi verso un’unione bancaria. Certo, questo è ancora insufficiente e per completare l’unione monetaria occorre vedere in modo chiaro l’impegno per un’unione politica ed economica, ma l’ottimismo è giustificato visti i risultati finora ottenuti.Questo ottimismo è particolarmente appropriato quando accompagnato dal realismo sui fondamenti dell’Unione Europea, che continuerà naturalmente a evolversi, ma non scomparirà più. Bisogna quindi orientare il dibattito su quale Europa vogliamo. Un dibattito su «l’Europa sì o no?» non ha più senso. In secondo luogo, i cristiani dovrebbero dire in questa campagna elettorale europea ciò che la fede insegna loro, vale a dire che il perdono e la remissione di ogni tipo di debito sono sempre possibili. In un discorso alla fine di aprile, Angela Merkel ha sottolineato che la competitività non è un obiettivo in sé, ma una condizione indispensabile per generare quella crescita necessaria per finanziare il modello sociale europeo. E ha aggiunto: «Il 90% della crescita mondiale avviene al di fuori dell’Europa; e se l’Europa non è in grado di esportare i beni e i servizi al di fuori dell’Europa stessa, non avremo crescita sufficiente». Ha ragione la cancelliera tedesca, e la responsabilità di ogni stato a mettere in campo le riforme strutturali che permettano di migliorare la competitività europea nell’insieme è fuori discussione. Tuttavia, ci sono momenti straordinari che richiedono anche uno sforzo di solidarietà straordinaria, per preservare la pace sociale e la coesione dei popoli europei. La Bibbia descrive simili momenti come anni giubilari che includono la remissione dei debiti e la liberazione degli schiavi. Ora, quando un quarto o più dei nostri giovani è senza lavoro, è possibile invocare una situazione straordinaria e quindi chiedere ai responsabili politici europei di formulare e di difendere un compromesso storico tra la messa in campo di riforme strutturali e l’alleggerimento del fardello di un debito che soffoca una generazione intera.

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