Torneranno i conti sulla legge di bilancio?

Il percorso a ostacoli che conduce alla legge di bilancio – in pratica la cosiddetta “manovra economica”, snodo cruciale di questi ultimi mesi di legislatura – sta per entrare nel vivo. Dei contenuti, per la verità, si discute da mesi, com’è normale che sia per un atto da cui dipende l’assetto economico e finanziario dello Stato, con tutte le concrete ripercussioni anche sulle condizioni dei cittadini. Ma ora inizia il complesso iter parlamentare, reso estremamente problematico dalla particolare situazione politica. Da un lato, la prospettiva ravvicinata delle urne mette in fibrillazione i partiti e li spinge a comportamenti tutti orientati a una ricerca immediata di consenso, tanto più che a novembre, proprio in contemporanea con la sessione parlamentare di bilancio, si tengono le importanti elezioni regionali siciliane. Dall’altro lato, il governo deve fare i conti con una maggioranza che nel corso della legislatura si è sfilacciata, ha perso pezzi a causa di scissioni e cambi di gruppo, e di fatto al Senato non esiste numericamente più. Finora il meccanismo non si è inceppato perché di volta in volta, tra assenze e appoggi esterni più o meno espliciti, al momento del voto sulle leggi i conti sono quasi sempre tornati. Ma sulla strada della legge di bilancio, che va presentata entro il 20 ottobre, c’è una strettoia che impedisce questo tipo di aggiustamenti parlamentari. Si tratta della presentazione della Nota di aggiornamento del Def (Documento di economia e finanza) con cui il governo mette a punto il quadro economico e finanziario della “manovra”, accompagnata da una Relazione con cui l’esecutivo, per avere più risorse da investire, chiede l’autorizzazione del Parlamento a discostarsi dall’obiettivo del pareggio di bilancio fissato dalla Costituzione. In pratica si tratta di poter utilizzare la maggiore flessibilità sui conti pubblici che è stata concessa dall’Unione europea per poter sostenere la crescita economica che, sia pur debole, si sta gradualmente consolidando. La stessa Costituzione stabilisce che per tale autorizzazione occorra la maggioranza assoluta: al Senato questo vuol dire almeno 161 voti, che allo stato non ci sono. Come venirne fuori? L’idea che ha preso corpo è di “spacchettare” il voto sulla Relazione da quello sulla Nota, che effettivamente sono due atti distinti, in modo da poter cercare sulla prima un concorso più ampio di forze. Del resto, questo il ragionamento che si fa nei partiti che sostengono il governo, tutti hanno sempre criticato come eccessivi i vincoli finanziari imposti dalla Ue e qui si tratta cogliere quel po’ di flessibilità che è stata ammessa per liberare delle risorse, prescindendo dalle scelte di merito che saranno poi compiute in sede di legge di bilancio. Vedremo presto – Relazione e Nota dovrebbero essere presentate, di regola, entro il 20 settembre, e votate subito dopo – se la soluzione prospettata dalla maggioranza avrà convinto qualche senatore in più. Al di là del giudizio specifico su di essa e della complessità tecnica della materia, comunque, torna il tema di fondo di questa fine di legislatura: la capacità delle forze politiche di arrivare alle elezioni coniugando la legittima e indispensabile dialettica fra di esse con il senso di responsabilità nei confronti di un Paese che sta lottando strenuamente per uscire dalla crisi.

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