Tornare a fare selezione

Voci allarmistiche, più che autorevoli, si levano con sempre più insistenza dal mondo accademico in direzione della scuola per segnalare quelle che si presentano come vere e proprie emergenze culturali e formative. Voci corali che si affiancano a quelle soliste raccolte qua e là sul campo di lavoro, ma anche voci del dissenso che esprimono frustrazioni, inquietudini, preoccupazioni vieppiù rese ancor più amare dai tanti deludenti risultati non in linea con le legittime aspettative.La preoccupazione è unica: i ragazzi manifestano forti difficoltà di apprendimento al punto tale da ritenere di essere davanti a un fenomeno oramai patologico. A dirlo non è il solito giornalista esperto di settore, né tanto meno la classe imprenditoriale che pure avrebbe le carte in regola per portare a conoscenza di tutti certi strani fenomeni scolastici sempre più evidenti e sempre più preoccupanti. A dirlo sono gli accademici, i docenti universitari, ancorché il ministro Fornero durante il recente convegno sull’apprendistato tenuto a Torino. In poche parole, per il mondo accademico, all’Università arrivano giovani che fanno fatica «ad esprimere un pensiero strutturato, a concentrarsi, a scrivere e parlare in un italiano corretto, a sviluppare un proprio senso critico». Senza parlare delle tesi di laurea, diventate oramai un «copia e incolla» generale grazie alle diverse opportunità offerte da internet, che finiscono con l’inibire le stesse capacità riflessive, patrimonio genetico di ogni singola persona. Ancora più esplicita è stata Elsa Fornero, ministro del lavoro, che senza mezzi termini ha lanciato un atto d’accusa contro la scuola, colpevole di portare i ragazzi verso un futuro irto di difficoltà in quanto «sanno troppo poco. Non conoscono le lingue, l’Italiano compreso e neanche i rudimenti della Matematica. Un quadro abbastanza sconsolante». Sono accuse dirette alla scuola che, a mio modesto parere, vogliono andare oltre la semplice denuncia per arrivare a scuotere la coscienza di tutti: docenti, genitori, classe imprenditoriale, classe politica, ma anche gli stessi studenti (che accettano). Che se ne fa un ragazzo di un titolo di studio acquisito mediante un cammino portato avanti a fatica, senza entusiasmo, senza impegno? Il problema di oggi è soprattutto quella strana poca voglia di studiare che accompagna i ragazzi durante tutto l’arco della giornata. E la scuola che fa? Certifica! Ma del resto cosa può fare? E qui credo sia meglio andare a fondo della questione. Oggi parlare di scelta responsabile, di rinuncia, di sacrificio, di serietà nello studio sembra di essere fuori moda. Anzi può capitare di peggio. Può capitare di ritrovarsi voce isolata e poco credibile. Non che ciò sia una novità. Per carità. Me ne guarderei bene dal fare simili affermazioni. A mio modo di vedere, però, studiare ha sempre rappresentato una sfida, un’opportunità, un desiderio di riscatto, o anche una fase storica della vita. Ma col passare degli anni qualcosa è cambiato. Siamo usciti da una scuola che non tollerava la superficialità, che non ammetteva repliche negative, che non voleva sentire ragioni dello scarso rendimento, per ritrovarsi oggi ad operare in una scuola che tollera troppo, che si preoccupa forse fin troppo degli sfaticati perché ritenuti sfortunati, che snobba quelli che si affermano nello studio perché, al contrario, considerati fortunati. C’è stato un tempo in cui una impreparazione era ritenuta tale e basta. Una convinzione condivisa anche dai genitori che affiancavano l’insegnante nell’analisi, che cercavano di capire le cause, le motivazioni alla base delle difficoltà di apprendimento e, se del caso, si prendevano opportune soluzioni. Di solito si cercava nella qualifica professionale la via di crescita formativa, sociale e civile, senza per questo uscire dal nobile circuito della formazione. E’ come dire che se uno non era portato per lo studio impegnato, liceale o tecnico che fosse, in accordo con la famiglia, si cercava la via d’uscita in un percorso meno impegnativo, ma egualmente formativo. Oggi individuare questo processo è troppo problematico per due motivi fondamentali. Il primo va visto nella scelta dell’indirizzo di studio che viene fatta dalla famiglia dopo la terza media, il secondo nel ricorso indiscriminato alla tecnologia da parte dei ragazzi, che se non ben indirizzati rischiano di trascurare le effettive potenzialità. Nel primo caso non è raro trovarsi di fronte a genitori che, ignorando il consiglio orientativo dei docenti, preferiscono scegliere altre strade per i propri figli, magari più impegnative, salvo poi imbattersi in una serie di difficoltà opportunamente addebitate ai docenti ritenuti i soli responsabili di eventuali fallimenti. Genitori disposti a correre qualche rischio, pur contando su opportune strategie che fanno del minimo sforzo l’occasione buona per raggiungere il minimo rendimento. Ragazzi e genitori si accontentano della scuola vissuta al ribasso. Va bene anche studiare poco, l’importante è andare avanti tra una strategia e l’altra opportunamente impostata e condivisa in famiglia. Studio e non studio sono rapportati sullo stesso piano. L’importante è arrivare a prendere il fatidico «pezzo di carta» che potrebbe consentire di andare avanti anche all’Università con le medesime strategie ampiamente collaudate. Leggere poco o niente, studiare a tempo perso, scrivere male, cadere in grossolani errori, rifugiarsi nel percorso facile reso dalla tecnologia estremamente semplificato, fare del «copia e incolla» la tecnica preferita, ignorare gli inviti ad un maggior rigore, togliere all’esperienza scolastica quel carattere formativo e culturale per viverla come esperienza esclusivamente sociale, sono alcune variabili responsabili dello sfascio in atto. Variabili che vanno per la maggiore fino a declassare ogni buon senso del vivere autenticamente la scuola. Fatica, senso del sacrificio, rigore, applicazione, senso dello studio, al contrario, sono per pochi intimi che, per giunta, devono sopportare le prese in giro, talvolta i tradizionali «benevoli inviti» a non esagerare, a non mettere in cattiva luce la maggioranza, a uniformarsi alla massa. Una massa amorfa che vive all’ombra della cattedra, coccolati da genitori preoccupati più delle ore trascorse col capo chino sui libri che non del tempo trascorso a chattare. Come concludere. Che ben venga la selezione.

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