Come riuscire ad agguantare transazioni che avvengono in millesimi di secondo, contratti che spostano titoli e denari in diciassette parti del mondo in pochi minuti? Non è con lo 0,01% di tassa, che la speculazione rinuncerà a fare il suo mestiere, che è quello di fare denaro con il denaro. Risulta invece difficile, se non quasi impossibile, inseguire questa folle gimkana con gli strumenti del Fisco.Già prevista dalla Commissione Europea, che ne ha stabilito l’introduzione dal 2014, la cosiddetta “Tobin tax” (dall’economista statunitense che la pensò) andrà in vig ore pure in Italia, e a tempi brevi. Il governo l’ha inserita tra le coperture della Legge di stabilità – una volta si chiamava “manovra” – e si aspetta da essa almeno un miliardo di euro all’anno. Ma cos’è la Tobin tax? C’è da distinguere tra cos’era nelle intenzioni di James Tobin, e cos’è diventata nell’odierna scienza delle finanze. L’economista intese porre un’imposta sugli scambi di valute, con l’obiettivo di stabilizzare i mercati valutari scoraggiando le speculazioni a breve termine. Allora il nocciolo della questione erano le monete: dollari, marchi, yen… Ora l’attenzione si è spostata sulle transazioni finanziarie, quell’enorme massa di denaro in continuo movimento ad ogni ora e in ogni angolo della Terra. Se si riuscisse ad applicare uno 0,1% – questa l’aliquota che il governo italiano ha previsto per la compravendita di azioni e obbligazioni – o uno 0,01% (transazioni sui derivati) per ogni contratto, un po’ di gustosa panna verrebbe scremata dal latte della finanza mondiale.Ecco, anzitutto vanno esaminati i fini: quello di Tobin, quello dei governi e quello di certi movimenti di opinione. Questi ultimi gradirebbero destinare i proventi della Tobin tax per combattere la povertà estrema: si toglie ai ricchi, si tosa il denaro per finalità sociali. All’estremo opposto, James Tobin ideò la sua teoria finanziaria indipendentemente dai fini da raggiungere con i proventi: il suo scopo era quello di stabilizzare i turbolenti mercati monetari dell’epoca, combattere la speculazione estrema. Nel mezzo ci stanno i governi. Che dell’idea dell’economista apprezzano la possibilità di creare un cespite finanziario dal nulla: se azioni, obbligazioni e titoli di Stato sono più o meno facilmente “tosabili”, quel che sfugge alla mano del Fisco sono gli enormi capitali della finanza derivata, un mercato immenso (opzioni, future, swap, irs…) che fa apparire piccole cose le Borse mondiali. Si stima, per difetto, che il valore degli strumenti derivati circolanti nel mondo sia di 200 trilioni (miliardi di miliardi) di euro. È la cosiddetta bomba atomica che aleggia sulle nostre teste, il vero tumore che sta ammalando l’economia mondiale. Se mai un giorno si volesse scoprire le carte (praticamente impossibile, ma facciamo per dire) – e cioè vedere cosa ci sia in giro e se effettivamente dietro a quei titoli ci siano soldi, e quanti – la bomba scoppierebbe e il mondo tornerebbe indietro di un secolo.Ma torniamo ai governi di cui sopra. Su tali sfuggenti operazioni finanziarie vorrebbero metterci in qualche modo le manine, ma non per salvare il mondo dalla povertà estrema. Casomai le casse dello Stato dalle ragnatele: ci sono stipendi da pagare, ponti da costruire, debiti da onorare. Insomma, un’altra tassa che però va a colpire chi la parola “tasse” non sa pronunciarla in nessuna lingua. Quindi la questione non è se questa imposta sia giusta, utile o efficace. Ma come riuscire ad agguantare transazioni che avvengono in millesimi di secondo, contratti che spostano titoli e denari in diciassette parti del mondo in pochi minuti. Non è con lo 0,01% di tassa, che la speculazione rinuncerà a fare il suo mestiere, che è quello di fare denaro con il denaro. Risulta invece difficile, se non quasi impossibile, inseguire questa folle gimkana con gli strumenti del Fisco. Se fosse facile, la Tobin tax sarebbe già stata applicata ovunque, e da anni.Quindi un grandissimo in bocca al lupo a governanti e gabellieri, non sempre capaci di far pagare le tasse a parrucchiere e immobiliaristi.
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