L’aggettivo “storico” nel caso dell’incidente della Thyssen è certamente molto appropriato. Le ragioni di tale convinzione sono molteplici: la prima è che la condanna dell’amministratore delegato, per omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale, ci dice come il tema della sicurezza sul lavoro abbia raggiunto una maturità legislativa tale da permettere di correlare direttamente, e senza le incertezze di un tempo, la mancata prevenzione (nel caso specifico veri e propri disinvestimenti) alle conseguenze mortali che tale mancanza può determinare. Si legge, infatti, negli atti processuali che “l’imputato ha fatto prevalere l’interesse economico sul fattore umano”. La prevenzione e gli investimenti correlati devono essere, invece, parte integrante l’attività produttiva. Ritengo sia questo il secondo elemento che rende “storica” questa vicenda: tra le pareti incenerite della linea 5 si è consumata, speriamo definitivamente, quella vetusta idea d’impresa, lontana dall’impostazione di gran parte dell’attuale mondo imprenditoriale, secondo cui i diritti sono un costo, spesso insostenibile, e i lavoratori essenzialmente un peso. Il futuro del lavoro non si può costruire entro questa visione angusta, sopratutto dall’interno di una crisi del lavoro che ne sta evidenziando i limiti concreti. L’appello degli ex operai della Thyssen, che chiedono che i fondi per il risarcimento destinati dal processo a Provincia, Regione e Comune, vengano utilizzati per cercare nuovo lavoro, dice l’urgenza di guardare al mondo del lavoro con occhi differenti.La notte del 6 dicembre 2007, Antonio Schiavone, il primo a morire, 36 anni e tre figli piccoli, Roberto Scola, 32 anni, Bruno Santino, 26 anni, Angelo Laurino, 43 anni, Rosario Rodinò, 26 anni, Giuseppe De Masi, 26 anni, e il loro capoturno Rocco Marzo, 54 anni, sono morti perché la fabbrica veniva “abbandonata”. Non solo, mi permetto di dire, dal punto di vista della sicurezza sul lavoro. La storia che Thyssen ha costruito, con il sacrificio di questi operai, non sarà compiuta senza che il loro ricordo si trasformi in progetti di “nuovo lavoro”.
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