A causa delle grandi disuguaglianze prodotte dal corso liberista del sistema economico (il 50% della ricchezza del pianeta é nelle mani dell’1% della popolazione mondiale), per le crisi ambientali che hanno sconvolto interi territori e le guerre che si sono moltiplicate in tutti i continenti, i migranti nel mondo sono arrivati ad essere 237 milioni. Nell’Unione Europea che ha 508 milioni di cittadini residenti, gli stranieri sono 34 milioni (20 milioni da Paesi terzi, 14 milioni provenienti dagli Stati membri), mentre i migranti residenti in Italia sono circa 5 milioni su 60 milioni di abitanti. Cinque milioni sono anche i cittadini italiani all’estero. Le migrazioni ci sono sempre state e spesso hanno prodotto processi impensabili. Pensiamo agli Stati Uniti: progressiva sostituzione dei nativi da parte di migranti europei, ricorso allo schiavismo e guerre civili, ma poi grandi lotte contro razzismo e discriminazioni, sino a diventare la più grande potenza mondiale che ha ospitato, nel tempo, anche 20 milioni di italiani. Le migrazioni suscitano anche allarme, scontri e lotte fra poveri, paure. Sessantacinque sono i muri che sono cresciuti nel mondo dopo la caduta di quello di Berlino, centinaia sono i conflitti armati. Fra i migranti una posizione particolare spetta ai “rifugiati” che fuggono da guerre o da calamità la cui ospitalità è prevista da norme internazionali e da una elementare umanità. Rifugiati e richiedenti asilo saranno probabilmente, in Italia nel 2015, circa 130-40 mila(2,3%): in Europa chi ne ospita di più sono la Svezia (20,6%), l’Olanda(5,3%), la Danimarca(3,9%), Malta (14,7%), Grecia(3,9%), Francia(4,7%), la Germania(5,5%), l’Austria(9,2%). Nel 2015, nel mondo, hanno perso la vita 5.350 migranti nel tentativo di fuggire dal proprio Paese, 3.770 nel Mediterraneo, nonostante il positivo lavoro dell’Italia riconosciuto da Papa Francesco. Pensare di governare questi processi “nazionalmente” è pura demagogia, inganno verso i cittadini. A maggior ragione oggi, per gli attacchi terroristici che si ripetono drammaticamente (Siria, Iraq, Francia, Turchia, Giacarta, Burkina Faso, Pakistan ecc.), o per le gravi violenze contro le donne (Colonia), il tema dei migranti è riemerso con forza. L’Unione Europea, sollecitata dopo i consistenti sbarchi in Italia e attraverso i Paesi balcanici, si era impegnata a istituire le strutture (hot spot) per verificare lo stato di rifugiato in modo omogeneo in tutti gli Stati, a suddividere i rifugiati in tutti i Paesi Europei, oggi bloccati nel Paese di prima accoglienza. (Accordi di Dublino da modificare) Per l’Italia significherebbe “cedere” ad altri Paesi europei circa 40.000 rifugiati, tanto più che molti profughi intendono recarsi in Paesi diversi da quelli di arrivo (dove esistono loro famigliari, comunità nazionali). L’Unione Europea è in difficoltà perché molti Paesi vorrebbero decidere da sé su un tema così delicato (anziché avere controlli ai confini dell’Europa) ed esistono pressioni forti per affossare gli accordi di Schengen sulla libera circolazione delle persone che sarebbe un segnale chiaro per la fine del progetto europeo che potrebbe trasferirsi all’economia. Ognuno per sé?Ri-nazionalizzare le decisioni ci porterebbe indietro di anni, dimenticando che gli Stati nazionali in Europa hanno fallito e prodotto due guerre mondiali, ed oggi, sarebbero impotenti non solo nel governo dei processi migratori, ma nell’economia globale. Anche nella lotta contro il terrorismo dell’Isis e di al Qaeda è necessaria una coalizione internazionale che coinvolga Usa, Russia, Europa e Paesi musulmani. Obama, nel rapporto sullo stato della nazione, attacca i terroristi e non i musulmani che negli Stati Uniti sono milioni (1 miliardo e 400 milioni nel mondo) e Papa Francesco ribadisce che “non si può uccidere in nome di Dio”. E, dopo aver visitato la Sinagoga di Roma, per accentuare la collaborazione fra religioni, accetta l’invito della comunità islamica a recarsi nella moschea di Roma. E’ doveroso ed utile, ovviamente, interrogarsi sui processi di integrazione senza offuscare che molti terroristi sono nati o vissuti in Europa: perché lo fanno? Come hanno vissuto in Europa? Cosa sono diventate le periferie delle città europee? E le violenze contro le donne a Colonia: atti gravi maschilisti che si ritrovano in ogni paese o segnali che rivelano culture inaccettabili e ostacoli nei processi di integrazione? L’integrazione è un processo di “assimilazione” (assumi valori e identità del Paese ospitante) o è la tolleranza verso comunità di migranti “invisibili” che mantengono tradizioni e identità purché rispettino le leggi? Sono probabilmente due modelli che devono essere superati: il rispetto delle leggi del paese ospitante è ovviamente necessario, ma il primo, quello dell’assimilazione (la laicità francese ad es.) rischia di cancellare storie, culture ed identità che sono percepite come perdita; il secondo (quello inglese ad es.) rischia di costruire un multicomunitarismo“che non è una coesistenza di popoli, ma un vivere accanto in un insieme di comunità diverse, che non comunicano fra loro, restano separate e invece di creare ponti, tracciano confini “(Bauman). E’ quello che recentemente il Primo Ministro Francese ha definito il rischio di“Apartheid”. E probabilmente bisogna anche correggere due estremi: quello di presentare l’Europa come “vecchia padrona coloniale” confermando l’accusa di “euroarroganza” o, al contrario, quella di “negare sé stessi” e di sottomissione dell’Europa ad altre culture. Per queste ragioni, credo, facendo leva sulle esperienze positive fatte in particolare dai Comuni e dal volontariato, e con le innovazioni europee (si spera), è necessario riaprire una discussione, senza escludere di cambiare anche normative che spesso non hanno funzionato.
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