Terremoto in Emilia, tanti problemi aperti

L’Emilia è viva. Segnata, ma viva. Certo, i segni del terremoto di fine maggio 2012 sono ancora tanti: nei moduli abitativi che ancora ospitano famiglie, tra gli anziani che dormono con la pila sul comodino, sulle facciate delle case ancora lesionate, nei centri storici ancora da riaprire, nelle aziende che hanno chiuso e anche in quelle che sono riuscite a ripartire e che soltanto ora, a un anno di distanza, possono fare i conti con i danni del sisma, e con lo spettro della crisi che li aggrava ancora di più. «A oltre un anno di distanza dal disastro – afferma Gianmarco Marzocchini, direttore Caritas di Reggio Emilia e delegato delle Caritas dell’Emilia Romagna – possiamo dire che le cose sono ripartite con il giusto ritmo e molte si stanno rimettendo in sesto. Certo, rimangono ancora molti nodi. Anzitutto le famiglie ancora lontane qualcuna ancora ospite in albergo, molte altre nei moduli abitativi provvisori.Poi i cantieri ancora da attivare, aziende che ancora devono poter riattivare completamente la produzione. E la crisi certo non aiuta la ripartenza».I lavori di ricostruzione che potevano essere fatti dalle famiglie che non avevano subito danni ingenti sono stati realizzati. Chi però aveva difficoltà economiche già prima del sisma si è trovato davvero con le ginocchia piegate. «Sono i più svantaggiati, le famiglie povere, gli immigrati che abitavano gli stabili più fatiscenti – prosegue Marzocchini –. Se a questo aggiungiamo il percorso faticoso legato alla richiesta dei contributi economici e alle pratiche burocratiche, davvero per costoro il quadro è a tinte fosche. Soprattutto gli immigrati hanno subito contraccolpi pesanti.Lavoravano in aziende che oggi hanno chiuso o che hanno dovuto contrarre la produzione. Sono rimasti senza casa e senza lavoro. Molti di loro, lo scorso anno, dopo l’estate, hanno raggiunto, con le famiglie, i paesi di origine. Oggi sono tornati solo gli uomini, in cerca di un nuovo lavoro».La chiesa parrocchiale di Cavezzo (Modena) ha ancora il tetto scoperchiato. E ci vorrà molto tempo per poterla riavere utilizzabile. Ma da qualche domenica, don Giancarlo può celebrare la messa nel centro di comunità. Cavezzo l’ha inaugurato da poco. È uno dei 17 centri che Caritas Italiana ha finanziato nei territori terremotati. Sono strutture polifunzionali, all’interno si possono svolgere attività religiose, sociali, culturali, ricreative. «Il terremoto, purtroppo, ce l’abbiamo ancora in testa – osserva il sacerdote –. A Cavezzo ci sono ancora famiglie ospitate nei moduli abitativi prefabbricati. Il centro di ascolto Caritas ha sede nel container, dietro la chiesa. Distribuiamo ancora oggi aiuti, generi alimentari, vestiti. La generosità, da questo punto di vista, non è mai mancata. E hanno funzionato i tradizionali meccanismi del gemellaggio tra Caritas. Segni che ci fanno guardare con serenità al futuro». Intanto, però, qualcuno ancora a Cavezzo, la notte, dorme sul divano, al piano terra, con la luce accesa...Luca Ghirardi è il giovane vicesindaco di Camposanto (Modena), comune nel cuore del cratere sismico. Ha gestito, da amministratore pubblico, le fasi dell’emergenza. «Le famiglie hanno trovato tutte una collocazione – premette –. Ma è molto complicato il meccanismo di richiesta del contributo per sistemare le lesioni delle proprie abitazioni. Le persone lamentano, non a torto, un eccesso di burocrazia, passaggi lunghi, complicati, schede difficili da preparare. Chi stava meglio ha potuto sistemare con risorse proprie. Altri hanno una sistemazione provvisoria».I problemi aperti sono anche (molti) altri. Le aziende del territorio faticano a ritrovare la produzione di un tempo, gli esercizi commerciali che avevano sede nei centri storici non hanno più il passaggio di una volta. «È difficile riavviare la vita di una comunità senza avere più i luoghi tradizionali della socialità – sintetizza Ghirardi –. Per questo stiamo cercando di riportare nelle piazze i momenti di aggregazione: fiere, feste, mercati. Quasi fossero simboli di ripartenza».Alla Menù di Midolla (Modena), epicentro del terremoto del 29 maggio, è arrivato in visita il premier Enrico Letta.Perchè la Menù è uno dei simboli della capacità di riscossa di questa terra. Rodolfo Barbieri è il titolare dell’azienda, che impiega 180 addetti ed è diventata famosa perchè a soli tre mesi di distanza dal sisma già installava i mega-pannelli in legno lamellare sul primo capannone distrutto dal terremoto, e già ricostruito.«L’azienda – dice Barbieri – in questi mesi è stata in grado di superare con tenacia la prova durissima del sisma, migliorandosi e implementando i propri processi produttivi, organizzativi e logistici. Abbiamo colto l’opportunità della ricostruzione per riorganizzarci, in linea con le attuali normative. Ad agosto la produzione tornerà al 100% delle capacità. Certo, i problemi non mancano. Il terremoto ha segnato il tessuto produttivo in maniera pesante. Al di là delle infrastrutture, il nodo più complicato è quello commerciale; con lo stop e il ritardo della produzione si sono persi i clienti. E non si sblocca la questionedella richiesta dei contributi per la ricostruzione e il riavvio delle attività di produzione. Ci scontriamo con lo scoglio della burocrazia. Noi stessi dobbiamo ancora terminare le domande per ottenere i rimborsi per le opere edili che abbiamo già sostenuto». Intanto, a Cavezzo, dove sono state costruite alcune strutture prefabbricate per ospitare temporaneamente gli uffici, alcuni impiegati sono rientrati nei primi locali ristrutturati e agibili, mentre a Medolla è iniziata la costruzione di una nuova palazzina per gli uffici: il rientro degli impiegati è previsto entro la fine dell’estate.Le tende non ci sono più. Al loro posto, le casette rosa. Prefabbricate. Così i ragazzi della Lucciola, il centro diurno per minori disabili di Rivarino di Modena, possono svolgere le attività sotto un tetto che li protegge. Certo, le difficoltà, rimangono. La dottoressa Emma Lamacchia, neuropsichiatra, anima del centro, sintetizza quello che è accaduto in un anno: «Dopo il sisma abbiamo spostato le attività nelle tende. Lì abbiamo passato l’estate con i ragazzi del centro. Che hanno vissuto quei momenti, non semplici, quasi con leggerezza, come fosse una vacanza all’aperto. I nostri bambini – dice la dottoressa Lamacchia – hanno una vita molto dura, continuamente, ogni giorno attraversata dal dolore, dalla precarietà, dal buio. L’unica maniera per aiutarli era insegnare loro che esiste una vita migliore, che domani può essere più bello di oggi».Oggi alla Lucciola si respira una buona aria. Vitalità. Il martello che picchia sulla botte. Il rumore del decespugliatore che regola la siepe. Il profumo delle verdure, coltivate nell’orto e subito servite in tavola. Il terremoto è storia di un oltre anno fa. Un ricordo, sì. Ma la vita continua, con i suoi ritmi e le sue conquiste.

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