Terremoto, bisogno di comunità

Questo 4 giugno di lutto nazionale per le vittime del terremoto che continua ancora a frustare l’Emilia è una giornata piovosa che sembra voler piangere anch’essa per il dramma che sta vivendo la bassa pianura emiliana. Pianto e preghiera per i morti, 17 solo in provincia di Modena dopo la scossa di martedì 29 maggio che si aggiungono alle 7 vittime del 20 maggio, ci saranno le case, le chiese, le aziende, i monumenti e le stalle da ricostruire; tutta l’economia di questa terra abitata da gente intraprendente e coraggiosa da far ripartire. Sarà dura, ma certamente ce la faremo, grazie anche alla solidarietà, grandissima, che si è messa in moto in queste giornate e che gli emiliani stanno sperimentando concretamente ogni giorno. Verrà il tempo di rimettere i mattoni uno sull’altro: la forza e la tenacia aiuteranno e sosterranno gli animi.

Oggi, però, dopo la scossa che ancora ieri sera ha colpito con magnitudo 5.1, quello che occorre maggiormente è ricostruire speranza, infondere coraggio e fiducia. Sì, perchè questo “terremoto continuo” alla fine rischia di far crollare, insieme ai muri, anche e soprattutto il morale, la forza interiore che ognuno ha, le certezze di poter riprendere il cammino che le onde sismiche hanno in qualche modo interrotto in ognuno di noi. Smarriti e spaesati: nei giorni scorsi un passaggio a Cavezzo, Medolla e nelle altre località colpite il 29 maggio lasciava questa sensazione nella gente incontrata. Insieme, però, a segnali che invitano alla speranza e, all’insegna della solidarietà, dicono altro. Prima di tutto della voglia di ricostituirsi come comunità. Lo abbiamo visto a Cavezzo, dove in un parco cittadino, un gruppo di persone ha allestito una mini-tendopoli dove ogni sera si celebra la messa e, durante gli ultimi giorni di maggio, si recitava il rosario prima di condividere la cena. Oppure a Medolla dove don Davide, il parroco, pantaloncini e maglietta, ci ha accolto mentre stava allestendo all’aperto, nel cortile delle suore, per la celebrazione di chiusura del mese di maggio. E ci ha detto che i ragazzi dell’Agesci, dopo le prime scosse, sono stati di grande, grandissimo aiuto per l’intera comunità medollese.

“Non abbiamo vergogna a confessare il nostro bisogno reciproco di consolazione, di conforto, di speranza”, ha detto qualche giorno prima l’arcivescovo di Modena, monsignor Antonio Lanfranchi, presiedendo a Finale Emilia, sotto una tenda, la veglia di Pentecoste che solitamente si celebra in Duomo a Modena. “Il terremoto – ha aggiunto – ha reso inagibili le nostre chiese di pietra ma non ha distrutto (anzi ha consolidato) quella Chiesa formata da pietre vive che sono le persone, i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti, gli anziani”. Una Chiesa viva per poter ricostruire anche la chiesa di pietra “ben sapendo – ha detto ancora mons. Lanfranchi – il valore che il tempio di pietra ha avuto lungo i secoli per formare la coscienza dell’essere comunità”.

Essere comunità, ecco il punto. È anche in momenti difficili come questi che se ne scopre l’importanza; la bellezza e la consolazione che viene dal sentirsi insieme a qualcuno, dal condividere fatica e dolore ma anche dallo sperimentare la solidarietà, non solo a parole, offerta senza nulla chiedere in cambio. È così che il coordinamento diocesano attivato per far fronte all’emergenza del terremoto, affiancandosi all’opera preziosissima e insostituibile della Protezione Civile, vede in campo la Caritas diocesana con compiti di coordinamento per la lettura dei bisogni, con i parroci delle zone colpite che diventano un insostituibile punto di riferimento, soprattutto per le comunità loro affidate. E poi anche altre realtà come il Centro sportivo italiano di Modena impegnato nell’animazione delle giornate dei bambini nelle tendopoli. Oppure l’Azione Cattolica modenese che mette a disposizione delle popolazioni terremotate un propria casa in Appennino e si adopera per raccogliere tende e quanto serve. O la parrocchia di Fiorano modenese, nella pedemontana, che in una struttura a fianco del santuario della B.V. del Castello ospita soprattutto anziani e disabili che non potrebbero reggere a lungo nelle tendopoli della Bassa.

Senza contare la solidarietà che tanti altri, albergatori dell’appennino o anche semplici privati, hanno da subito dimostrato. Essere e sentirsi comunità, appunto, è anche questo. Quasi una risposta concreta alla preghiera rivolta dall’arcivescovo a Maria e distribuita domenica scorsa nelle parrocchie dell’arcidiocesi su un pieghevole che riportava in copertina il trittico cinquecentesco “L’Incoronazione della Vergine” di Bernardino Loschi, “salvato” dalla chiesa distrutta di San Felice sul Panaro: “Risveglia le coscienze di tutti noi, perché sappiamo rispondere alle necessità degli altri, con giustizia, misericordia e amore”.

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