Sulla Libia tutti pronti a menare le mani

C ‘è da restare allibiti di fronte al repentino allineamento di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, ad eccezione del M5S, rispetto alla proposta di un intervento militare in Libia, anche se recentemente il Presidente del Consiglio ha provveduto a smorzare un po’ i toni. C’è da restare allibiti perchè solo qualche anno fa ci fu un ampio dibattito in merito all’inserimento nella Costituzione Europea di un riferimento alle radici cristiane della stessa, con tutto quello che ciò significa dal punto di vista dei rapporti con altri popoli e nazioni improntati sul dialogo ed il rispetto reciproco. Oggi vediamo invece che tutti hanno una gran voglia di menare le mani, per interposta persona, nonostante i continui richiami del Santo Padre al fatto che la miriade di focolai accesi in diverse parti del mondo rischia di sfuggire di mano e di portare ad un nuovo conflitto di dimensioni planetarie. Ma ciò che desta ancora più stupore è il fatto che non ci sia un minimo di considerazione, non dico di riflessione, in merito alle cause che hanno portato a questa situazione disastrosa, cause rispetto alle quali l’Europa e l’Occidente portano grandi responsabilità. E’ chiaro che è difficile pensare ad una strategia differente rispetto a quello che si è autoproclamato «il Califfato Islamico», la cui efferatezza nel trattamento non solo dei nemici, ma anche di persone del tutto inermi, non può trovare la benchè minima comprensione. Oggi sicuramente è così. Ma bisognerà pur riflettere su quanto ha contribuito a determinare questa situazione la guerra scatenata da Francia e Gran Bretagna, senza il consenso dell’ONU, con l’intento di scalzare il dittatore libico Gheddafi, mascherando dietro di questo i propri interessi di stampo neocoloniale. Oggi la Libia è un paese allo sbando, ed in questa situazione ha gioco facile ad inserirsi l’ISIS, ma per capire perché siamo arrivati a questo punto occorre andare oltre alla Libia, in quanto gli integralisti musulmani dell’ISIS proven-gono dall’Iraq, un paese che all’inizio del nuovo millennio è stato oggetto dell’intervento di una coalizione internazionale, messa in piedi dall’allora Presidente Bush, per portarvi la democrazia, sulla base del falso presupposto che il dittatore Saddam Ussein era in procinto di utilizzare armi di distruzione di massa contro la popolazione curda. Colin Powell, segretario di Stato dell’epoca, ammise successivamente di essere stato ingannato dai servizi segreti americani, e lo stesso premier britannico Tony Blair fu sbugiardato di fronte al Parlamento Inglese. Le Crociate si sono tenute attorno all’anno mille, ma il clima che abbiamo creato non è molto differente, allora si trattava di esportare la fede, oggi la democrazia (termine che nasconde al suo interno interessi ben più corposi). Non ci possiamo poi lamentare se ci troviamo l’ISIS alle porte di casa e torniamo a gridare, come allora, «mamma gli infedeli». Non so se oggi ci sono altri mezzi, per fare fronte a questo pericolo, ma deve essere chiaro che il ricorso alle armi, anche se sotto l’egida dell’ONU, non può che aggiungere altri danni a quelli che abbiamo provocato fino ad oggi. Per quanto può valere la mia opinione, ritengo che un differente punto di partenza per affrontare la questione, non può prescindere dalla necessita di non derubricare sotto il termine terrorismo qualsiasi manifestazione, ancorchè esecrabile, che ci viene dal comportamento delle milizie del califfato. E’ chiaro che questo genera giuste manifestazioni di condanna, come quelle che sono intervenute dopo i fatti Parigi e Copenaghen, ma se nazioni come la nostra e l’Europa nel suo complesso vogliono continuare ad essere un riferimento di civiltà, non possono continuare a ripercorrere la strada della risposta armata che, oramai ne abbiamo davanti molteplici esempi, non solo non risolve, ma anzi aggrava i problemi che si intendono affrontare.

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