Sul clima il ritardo dell’Africa

È stato un avvicinamento difficile, quello dell’Africa al vertice di Parigi. A metà settembre, a poco più di due mesi dall’incontro organizzato dall’Onu sul cambiamento climatico, che dovrà portare a un nuovo accordo globale per sostituire il protocollo di Kyoto, solo otto paesi a sud del Sahara avevano presentato i loro piani per la riduzione delle emissioni inquinanti. E anche dopo la scadenza fissata per la fine dello stesso mese, non avevano rispettato l’impegno i due più grandi produttori di petrolio del continente: la Nigeria (che è anche uno dei ‘giganti’ economici africani) e l’Angola, caso esemplare di come lo sviluppo rapido rischi di compromettere l’ambiente.Le difficoltà dell’Africa non sono un caso. La maggior parte dei paesi del continente si trova a dover fare i conti con due esigenze opposte: quella di non compromettere la crescita economica sperimentata negli ultimi anni. Un salto in avanti che, però, si fonda spesso proprio sullo stesso modello di sviluppo praticato per anni dalle nazioni del Nord del mondo e oggi anche dalle potenze emergenti, con conseguenze evidenti sul clima. In un continente che, per di più, ha già pagato il prezzo del riscaldamento globale - soprattutto in campo agricolo - negli scorsi decenni, destando la preoccupazione della società civile e con essa della Chiesa. “L’Africa - ha affermato ad esempio con chiarezza negli scorsi mesi il cardinale ghanese Peter Turkson, che presiede il pontificio consiglio Giustizia e pace - è il continente dove i ‘peccati ecologici’, i crimini contro l’ambiente, sono commessi sotto gli occhi e nella consapevolezza del mondo, nell’indifferenza generale”. Di fronte a questo stato di cose, alcuni governi, come ad esempio quelli di Benin e Gabon, hanno tentato di tenere un difficile equilibrio tra le diverse posizioni puntando sul “polmone verde” del patrimonio forestale, o sul rimboschimento. In molti altri casi, però, si è preferito prolungare il dibattito, di fatto non prendendo posizione. Emblematica la situazione nigeriana, immutata anche dopo l’appello dei vescovi, sulla scia dell’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco, a considerare quella ecologica una questione che riguarda “cristiani, musulmani, persone di altre religioni, comunità locali, famiglie, individue e tutte le persone di buona volontà”. Non è l’unico caso in cui la linea del silenzio è stata infranta proprio dalla Chiesa, che - nell’imminenza del vertice di Parigi - ha rivolto un richiamo innanzitutto ai leader delle grandi potenze mondiali e dei colossi economici responsabili di molti dei disastri ambientali nel continente. “Non possono comportarsi da sordi, come se niente fosse, e continuare ad ignorare la voce del popolo, del debole, dell’oppresso, delle popolazioni indigene e locali che soffrono per i cambiamenti climatici e il degradarsi del loro ambiente naturale e umano”, ha ammonito ancora il card. Turkson, riferendosi appunto al vertice di Parigi. E a sganciare la questione ambientale da quella dello sviluppo ha invitato Anthony Mbandi, responsabile di giustizia e pace per l’Amecea, l’Associazione dei membri delle conferenze episcopali dell’Africa orientale. In caso contrario, ha notato “alcune nazioni metteranno a disposizione risorse per gli errori di altre” in materia di ambiente. Anche a livello locale, però, la voce dei religiosi africani si è indirizzata spesso ai propri governanti e agli stessi cittadini. “In Sudafrica - ha spiegato ad esempio padre S’milo Mngadi, portavoce della conferenza episcopale - l’attenzione alla spiritualità a volte rende le persone disattente alla vita di ogni giorno”. Per “colmare il divario tra spiritualità e attenzione all’ambiente” e dare “una nuova comprensione di come affrontare questioni ambientali vicine a noi, come l’energia”, ha proseguito, un aiuto può venire ancora dall’enciclica papale. Il documento è al centro anche dell’iniziativa dei vescovi del Malawi, che hanno organizzato giornate di formazione sui temi del clima per i giornalisti locali. A spiegare il senso della proposta è stato Carstens Mulume, che guida la commissione cattolica per lo Sviluppo: “Vorremmo lavorare coi media - ha detto - per far capire loro cosa c’è nelle leggi e aiutarli ad agire perché siano applicate”. I mezzi di comunicazione, ha aggiunto, “possono influenzare le decisioni politiche in materia”.

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