Su Internet la scure di Erdogan

È sulla soglia di ingresso dell’Unione Europea ormai dal 3 ottobre 2005 (giorno di inizio dei negoziati di adesione), ma nonostante ciò il premier Recep Tayyip Erdoğan, primo ministro turco, non ha ancora imparato le buone maniere del Vecchio Continente. Finito nel mezzo di un’ inchiesta per uso “disinvolto” di fondi pubblici, Erdoğan decide di mettere a tacere gli oppositori e così spegne Twitter in tutto il Paese e, dopo pochi giorni, decide di riservare lo stesso trattamento anche a Youtube.Erdoğan è sul piede di guerra ormai da quasi due mesi, da quando agli inizi di febbraio vengono alla luce alcune intercettazioni telefoniche che lo vedrebbero coinvolto in un grosso scandalo di corruzione. Una patata bollente per il premier, che ha portato alla sostituzione di diversi ministri ed ha scatenato numerosi episodi di guerriglia urbana ad Ankara ed in altre città del Paese. Le intercettazioni hanno, rapidamente, un’ampia circolazione on-line, soprattutto attraverso i social network, e così Erdoğan, nel pieno di una campagna elettorale per le elezioni amministrative, inizia subito a sparare a zero contro “la lobby di robot in grado di attaccare il governo tramite un bombardamento di messaggi proprio via Twitter”. Il social network prova ad adeguarsi alle pressioni politiche, rimuovendo molti presunti account falsi orchestrati con fini politici. Ma, evidentemente, non è abbastanza per il premier. Lo strappo definitivo avviene la scorsa settimana. Nel corso di un comizio elettorale nella città di Bursa, nel nordovest del Paese, Erdoğan usa parole di fuoco: “Estirperemo Twitter, non mi interessa cosa dice la comunità internazionale, è contro la sicurezza nazionale. C’è una sentenza del tribunale. Vedranno la forza della Turchia”. Detto fatto, nel giro di poche ore i primi profili Twitter degli utenti della Mezzaluna iniziano ad avere problemi di accesso, fino ad arrivare al completo oscuramento del social network.La scure è calata per mano dell’Autorità per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (BTK), un’agenzia alla quale di recente il Parlamento turco ha affidato, non senza polemiche e contestazioni, diversi poteri straordinari: la BTK può chiedere (ed ottenere entro 4 ore dalla richiesta) agli internet provider il blocco di siti contenenti violazioni della privacy senza necessità di una preventiva autorizzazione del giudice. Dura la reazione della comunità internazionale, Stati Uniti e Unione Europea in testa, ma Erdoğan è ben poco interessato alle proteste dei suoi alleati. Il primo ministro, però, è costretto ad adeguarsi alla decisione della Corte amministrativa di Ankara, che, pochi giorni dopo il blocco, ordina la sospensione del provvedimento, definito “contrario ai principi dello stato di diritto”.Tutto finito? Non esattamente, perché passano poche ore e cominciano a circolare su Youtube nuove intercettazioni che aprono due nuovi fronti per Erdoğan. Il primo riguarda la diffusione, che sarebbe stata organizzata dal premier nel 2010, di un video a luci rosse dell’allora leader dell’opposizione, Deniz Baykal (costretto alle dimissioni dallo scandalo). Il secondo ha i connotati della spy story: in una registrazione fra alcuni dirigenti turchi (il ministro degli esteri, Ahmet Davutoglu, il capo dei servizi segreti, Hakan Fidan, e il vicecapo di stato maggiore, Yasar Guler) emergerebbe un piano per realizzare fini attacchi siriani ai danni della Turchia per “distrarre” l’attenzione degli elettori dalla tangentopoli turca. Neanche a dirlo, poco dopo la pubblicazione on-line delle rivelazioni sulla Siria, l’accesso a YouTube è bloccato in tutta la Turchia, in nome della “sicurezza nazionale”. Il bavaglio è servito.

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