Studenti tra Erasmus e risi amari

“Il bestiario dei maturandi”: è con questo titolo che alcuni quotidiani, soprattutto online, presentano certi surreali strafalcioni dei ragazzi venuti fuori durante gli orali degli esami di Stato appena conclusi. Sinceramente non riesco a capire le motivazioni che sono alla base della raccolta delle tante idiozie segnalate. Si vuole forse intrattenere il lettore con fragorose risate o il fine più subdolo è quello di mettere in ridicolo i ragazzi? Nell’uno e nell’altro caso c’è, comunque, un vizio tutto italico che è quello di mettere in risalto ciò che di negativo emerge nelle svariate esperienze di vita, siano esse scolastiche o sociali, tralasciando gli esempi di un certo spessore morale o culturale. Che i ragazzi durante i colloqui possano aver raccontato qualche castroneria, è una verità che nessuno può mettere in discussione, ma fare di questo problema una «piattaforma demenziale» con l’obiettivo di mettere in ridicolo gli studenti mi sembra fuorviante. E se «Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia» come scrive Manzoni nel suo capolavoro, perché non raccontare dei tanti brillanti colloqui sostenuti e segnalati, delle tante eccellenze dai risultati entusiasmanti al punto da dare orgoglio alla scuola, ai docenti e ai genitori? E’ pur vero che taluni aneddoti sono degni di far parte della letteratura della risata che però vanno presi per quelli che sono, ovvero come un’opportunità utile a creare uno spaccato di vita fatto di «sollazzi e risi» fine a se stessi e niente più. Tra i tanti strafalcioni presentati come realmente accaduti ce n’è uno che ritengo degno di riportare in cronaca, non fosse altro che per creare quel clima di simpatia che aleggia spesso attorno alla realtà burlona dei giovani. Un commissario domanda a una candidata: «Ci parli delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. Lo sa che è un romanzo epistolare»? Silenzio della candidata. «Cos’è un romanzo epistolare, lo sa signorina«? Silenzio. «Non mi dica che non ha mai avuto rapporti epistolari». La studentessa, con voce bassa, arrossendo: «Sì, qualche volta, in macchina». Ora riportare un aneddoto che finirà per sua stessa natura nell’annuario delle barzellette da salotto ci può anche stare, ma tra questo intento e mettere i giovani alla berlina, il passaggio mi sembra un po’ troppo azzardato. Ammesso che sia realmente accaduto, è pur sempre un aneddoto che susciterà sicuramente qualche risata e allora prendiamolo appunto per quello che è, ovvero un’ottima occasione per farci due risate che in una realtà sociale come quella che stiamo vivendo, ci sta a pennello. Fra una finalità salutare che la risata trascina con sé e il denigrare gli studenti, ne passa di acqua sotto i ponti. Del resto la risata, tranne che nel periodo medioevale, è stata sempre considerata un metodo da rincorrere per star bene in salute. E’ lo stesso Ippocrate, il padre della medicina nell’antica Grecia, a precisare l’effetto positivo nell’animo umano di una bella risata. Ancor più incisivo Aristotele che riteneva la risata un tratto essenziale che distingueva l’uomo dall’animale. Non così per Pericle che veniva invitato da Anassagora, suo consigliere, a non bere per non ridere, perché «se bevi il vino ti ubriacherai e se ti ubriachi ti metterai a ridere. A quel punto i tuoi sudditi, vedendoti allegro, non avranno più paura di te, e tu perderai il potere». Ragioni di Stato, dunque, iimpongono a Pericle di evitare di ridere. Ma a tranquillizzarci in maniera determinante sull’argomento risata sono i ricercatori di alcune università americane ed europee che hanno scoperto quanto benèfici siano gli effetti di una risata sul sistema nervoso e vascolare dell’organismo umano. E allora prendiamola sotto questo aspetto e correggiamo questi ragazzi che sbagliano senza per questo metterli alla berlina davanti a una commissione di insegnanti chiamati a valutare la loro maturità. Mi chiedo. A chi nella vita non sia mai successo di aver fatto una gaffe o di aver detto una castroneria tanto da aver suscitato una risata tra gli ascoltatori? Probabilmente ognuno di noi ha qualcosa da ricordare in tal senso. E allora. Suvvia. Non facciamola pesare più di tanto. Piuttosto insegniamo a questi nostri ragazzi a riflettere prima di lanciarsi in asserzioni che possono risultare poco chiare se non addirittura poco serie. Insegniamo ai ragazzi quanto importante sia affrontare con la dovuta serietà l’esperienza di un esame che può presentarsi anche sotto forma di atteggiamento responsabile e positivo da assumere tutti i giorni. Può capitare a tutti di finire nella trappola della «confusione», ma un conto è imparare dagli errori che si commettono, altro è finire come target su cui scagliare derisioni, osservazioni di scherno, espressioni sarcastiche, fino ad rimpicciolire su se stesso un ragazzo in cerca della propria personalità. Il discorso potrebbe allungarsi a dismisura. Più che impegnarsi in una raccolta di «bestialità» dei maturandi, forse vale la pena chiedersi, come scuola, se non sia il caso di offrire a questi nostri giovani momenti di altra scuola fatta di attività pomeridiane, di iniziative culturali, col fine ultimo di migliorare il processo di apprendimento. Sarebbe ottima cosa, ad esempio, tenere aperte le scuole nei pomeriggi per consentire la programmazione di attività complementari di studio e di approfondimento, di potenziamento e di recupero. Così facendo si instaura un percorso di formazione flessibile su cui ciascun ragazzo può fare riferimento, sia che abbia bisogno di aiuti, sia che abbia necessità di migliorare. Meriti e recuperi verrebbero ad assumere valori fondanti per combattere tenacemente la dispersione, un fenomeno molto preoccupante su cui si attesta costantemente l’attenzione del nostro Ministro Stefania Giannini. I ragazzi, oggi, hanno un loro linguaggio, un loro potenziale espressivo del tutto diverso da noi adulti. Hanno un modo di comunicare che probabilmente richiede un diverso approccio relazionale per fare della comunicazione un canale espressivo ottimale. Per tutto questo occorrono forti investimenti sulla scuola, occorrono notevoli risorse economiche, occorre attirare verso la scuola specifiche professionalità desiderose di cercare altrove occasioni di crescita professionale, occorre attirare verso la scuola l’attenzione di privati e Fondazioni nella convinzione che un’attenta apertura al territorio, una concreta, coordinata e condivisa azione sinergica tra la scuola e le varie istituzioni, comporterebbe una più vasta interazione con la stessa comunità civica e produttiva. Per l’argomento consiglio un libro: «Il riso» di Henri Bergson.

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