Studenti e questione morale

Le scuole superiori in questo periodo sono oggetto di particolari attenzioni da parte delle università. Alle scuole, infatti, arriva di tutto e di più: comunicazioni di nuovi corsi di laurea, manifesti accattivanti, brochures, lettere informative da passare ai ragazzi di quarta e di quinta e quant’altro. Ciascuna università si affida a questo sistema promozionale per portare a casa quanti più studenti possibile. Molti ragazzi saranno chiamati ad affrontare i test di ammissione per accedere a facoltà o a corsi di laurea a numero chiuso. Altri ancora sceglieranno di iscriversi a facoltà che consentiranno di evitare le forche caudine dei temuti test d’ingresso. Notevole, pertanto, è il numero di studenti che continueranno gli studi per raggiungere l’agognata laurea. Ma il problema sta proprio qui. Dei tanti iscritti si perderà ogni traccia. Di loro si parlerà come di un numero o di una percentuale dispersa lungo un percorso a ostacoli, mentre la laurea rimarrà un sogno nel cassetto. L’errore che farà sentire il proprio peso è nella convinzione da parte di molti ragazzi, di possedere dopo il diploma, una preparazione tale da affrontare gli studi universitari in scioltezza, dimenticando che l’università richiede molto studio, tanti sacrifici, impegno particolare, ovvero tutto quello che è mancato durante l’iter scolastico precedente. Con la voglia che tanti ragazzi si ritrovano, quello universitario sarà un cammino difficoltoso se non impossibile da portare fino in fondo. Certi disastrosi risultati sono da ricercare, soprattutto, in una errata convinzione che la mancata selezione registrata nelle scuole superiori, non farà sentire il suo peso all’università dove tantissimi ragazzi arrivano tra lacune di ogni genere. Lo studio superficiale non adeguatamente contrastato, finisce col mettere in mostra difficoltà di ogni tipo sia nel leggere che nello scrivere, sia nel parlare che nel modo di studiare. Recentemente Mario Pirani, giornalista e scrittore, in un articolo su Repubblica si è chiesto se esiste una «questione morale» nella scuola. Esiste, in effetti, nel mondo scolastico un problema di fondo che non può essere liquidato su due piedi. Nelle nostre aule ci sono ragazzi che hanno tanta voglia di studiare e ragazzi che ripetono incessantemente «voglia mia sparami addosso». Il risultato? Lo racconta Pirani, ricordando l’esito delle ultime prove Invalsi, l’Istituto nazionale di valutazione chiamato a valutare le prove d’esame degli studenti impegnati negli esami di maturità. L’esito è un disastro. All’università arrivano ragazzi che lasciano tracce del loro excursus accademico fatto di immemorabili strafalcioni, orrori e omissioni, ragazzi che dimostrano di non possedere una benché minima padronanza di linguaggio, che fanno un’immane fatica ad andare avanti con gli studi proprio perché non hanno mai studiato seriamente. Giovanni Sartori, uno dei più grandi scrittori di scienze politiche, parla di sfascio della scuola che non insegna più; di famiglie «Spockiane» sempre più permissive nei confronti dei loro figli; di «novitismo pedagogico» portato nelle scuole come novità salvifiche ai fini di una più completa preparazione. Ciliegina sulla torta: la tecnologia di cui i ragazzi ne fanno uso e abuso fino a rifugiarsi nella nuova frontiera del multitasking. E invece oggi quegli stessi insegnanti devono fare i conti con i ragazzi di oggi «sconnessi e somari», tanto in difficoltà davanti alla stesura di un tema, quanto molto abili a mettere qualche parolina in croce accompagnata da sorridenti faccine. C’è poi la questione legata alla serietà con cui i ragazzi affrontano gli studi. Tanti oggi studiano pochissimo o non studiano affatto. Molto pochi, invece, sono quelli che studiano con sacrificio e impegno. E siamo arrivati al cuore del problema. Mi rendo conto che si tratta di un problema della massima importanza e che rischio di scontrarmi con determinati luoghi comuni rafforzati da comportamenti condivisi e comunque in contrasto con le convinzioni che sono alla base di questa mia analisi, ma qualcuno deve pur dirle certe cose. Si è consolidato nel tempo una convinzione sbagliata che individua nell’insegnante la causa prima di un certo insuccesso scolastico come fenomeno generale. E invece bisogna ricordare, a chi di questa convinzione si fa promotore, che esiste un’etica scolastica che è stata stravolta e che ora fa fatica a riemergere. La scuola sembra essere fatta per quelli che non studiano, per quelli che amano trascorrere la giornata in compagnia, che trovano nel gruppo classe la forza per scardinare tradizioni e valori. Una scuola che deve essere aperta a tutti, ma proprio per questo deve essere aperta a valorizzare le capacità di tutti e di ciascuno. Di quelli che hanno abilità teoriche, ma anche di quelli che hanno abilità pratiche. Non si può pensare a una scuola fatta solo di futuri avvocati, medici, ingegneri. Esiste la scuola che prepara anche bravi panettieri, elettricisti, idraulici, tanto per citare alcune nobili professionalità. Esiste la scuola del fare che alla pari di qualsiasi altra scuola, insegna un mestiere di quelli che oggi sono più ricercati di avvocati, medici e ingegneri. Di vero fallimento si deve parlare anche quando si costringe un ragazzo a frequentare un indirizzo di studio verso cui non sente alcun interesse. Allora perché insistere. Perché costringere uno a non studiare. E’ proprio vero che la scelta è fatta con tanto entusiasmo anche dai genitori per poi scoprire che ben presto quell’entusiasmo deve fare i conti con la voglia di studiare che se non ben determinata difficilmente potrà accompagnare un ragazzo verso la meta finale. Difficilmente avremo un bravo ragioniere o un bravo geometra, un bravo tecnico informatico o uno studente bravo nelle lingue straniere senza un minimo di selezione. Condizione accettata dai ragazzi pur di andare avanti senza intoppi. Eppure la mancata selezione a scuola si scontrerà prima o poi con la dura selezione della vita, e ancor più della vita lavorativa. Allora i ragazzi tenderanno a considerarsi vittime di un sistema ingiusto e crudele, i genitori li vedranno raggirati da una realtà infida e distruttiva, i docenti non si domanderanno se non era il caso di fermarli in tempo. Qualcuno dirà che invece sono stati condannati da una scuoletta.

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