Un lettore mi ha fatto notare che alcune puntate fa, parlando del naso, ne abbiamo lasciato fuori un pezzo. Non proprio del naso... ma di nasà, nel significato secondario di ‘sopportare’. “Chi dü lì i se nasun no” vuol dire che non vanno d’accordo, non si possono soffrire. In effetti sull’argomento c’era da dire molto più di quanto lo spazio ci consentisse, per cui facciamo ammenda dedicandovi un’altra puntata. Cominciamo con un sinonimo di nasà, cioè il termine di uso popolare üsmà. Il verbo usmare è voce regionale come nasare, seppur anch’esso usato da alcuni autori in lingua come Gadda. Lo troviamo sparso un po’ per tutta la penisola, dalla Lombardia (il nostro üsmà) alla Calabria (osimare), ma anche all’estero, come nello spagnolo husmear. Pare che ci sia arrivato dal greco (osmàomai) attraverso il tardo latino osmare. Nel nostro dialetto, üsmà, oltre che ‘annusare, fiutare’, ha anche il senso figurato di ‘intuire’, e quello, come nasà, di ‘sopportare’. Se invece non si sopporta qualcuno o qualcosa, a Lodi e dintorni “se ransigna el nas” (‘si arriccia il naso’), in segno di disapprovazione, disprezzo, disgusto. È l’espressione che assume, ad esempio, lo schizzinoso (lod. smorbi). L’arricciare il naso
come se venisse offeso l’olfatto (lod. nasta), prende perciò il significato di disapprovazione verso persone o cose in senso più generale.
Anche senza ransignal, il naso si può presentare in varie forme e dimensioni più “naturali”. La canapia, termine ottenuto da canna e nappa (dal germanico hnapp, ‘catino’), è il naso detto eufemisticamente “importante”: non è però espressione soltanto lodigiana, la troviamo infatti diffusa, con minime varianti, in tutto il Settentrione. Il naso gnach è quello schiacciato (it. camuso), mentre “el nas che ‘l pisa in buca” è quello ‘aquilino’. Quest’ultimo naso è protagonista del diffuso detto popolare “nas che pisa in buca, guai a chi ghe tuca”: il naso aquilino come distintivo della persona irascibile. Nemmeno il naso all’insù però si salva: un analogo detto di area lombarda afferma che “naso che guarda in testa, peggio della tempesta” (o “della peste” in altre versioni locali).
Non così pericoloso, ma sicuramente fastidioso, è invece il pucianas, il ‘ficcanaso’ (da pucià, ‘intingere’).
Anche il prurito di naso acquista nell’immaginario popolare un significato particolare: “spürin de nas... nuità che pias”, talvolta integrato con “o pügn o bas” (o pugno o bacio), oppure con “o rabia o pas” (o rabbia o pace).
Ricordiamo ancora altre curiose espressioni, come “l’è restad cun dü büsi nel nas”, ossia ‘è rimasto con un palmo di naso’; “fas un grup al nas”, un ipotetico nodo al naso farebbe ricordare meglio del classico nodo al fazzoletto; e il diffusissimo “va a dà via ‘l nas”, un eufemismo che non abbisogna di spiegazioni.
Richiede invece di essere spiegato il termine narigiad, fra i diversi glossari dei dialetti lodigiani registrato soltanto dal Pezzini, col significato di ‘fortunatissimo’.
La correlazione del naso alla fortuna - che nella tradizione popolare si associa abitualmente ad altra parte del corpo meno esposta - si riscontra, ci dicono gli esperti, nel linguaggio giovanile di alcune zone del Settentrione degli Anni ’50, mutuata forse dal gergo della malavita in cui le sunnominate parti del corpo vengono linguisticamente correlate. I curiosi possono nasüsà nel Dizionario storico dei gerghi italiani (di E. Ferrero).
La stessa parola (narigiat) in altri dialetti lombardi significa invece ‘moccioso’, con riferimento alle condizioni non sempre impeccabili del naso dei bambini (la “candela” non è prerogativa dei piccoli lodigiani!).
Chiudiamo con due casi di “nas non naso”. Il primo è il verbo nas, ‘nascere’, che nel nostro dialetto si presta ad un gioco di parole: “Ghe n’é tanti che mör... ma che nas!”. Il secondo è nas preposizione, come ad esempio nella frase: “sta atenti al can, nas ch’el te sgagna”, cioè ‘attento al cane, prima che ti morda’ o ‘perché potrebbe morderti’. È una locuzione di origine incerta di cui non abbiamo trovato traccia in altri dialetti.
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